Skip to main content

Il coming out iraniano sui droni e la possibilità di attacco israeliano

Dopo l’ammissione (alterata) di aver venduto droni alla Russia, l’Iran ha continuato sulla strada della chiusura. E ora Israele fa sapere di essersi dotata di un piano di attacco, che sarà sul tavolo del nuovo premier Netanyahu

Per dirla come l’ex ministro di Esteri e Difesa lituano, Linas Linkevicius, l’Iran ha fatto una scelta: “Ha scelto di supportare l’aggressione di Russia , ha mentito sulla fornitura di droni, ora potrebbe persino rifornirsi di missili balistici. Non può esserci alcuna fiducia, nessun accordo nucleare o altro. L’Iran deve affrontare le conseguenze: più sanzioni”.

Il giudizio è molto pesante però rispecchia quello che una buona parte dei funzionari europei ha iniziato a pensare sul regime di Teheran. Tra l’altro va sottolineato che nel wording pubblico e riservato quegli stessi funzionari siano ormai persuasi nell’usare il termine “regime”. Chi scrive ha notato questo cambiamento di lessico — che si porta dietro una evidente serie di conseguenze — collegato alla sovrapposizione del dossier “aiuti alla Russia” con quello che riguarda le repressioni delle manifestazioni all’interno della Repubblica islamica.

La scorsa settimana, per la prima volta dopo mesi di contorsionismo retorico e false informazioni, Teheran ha ammesso di aver fornito droni alla Russia. Sono quei velivoli noti per aver colpito le città ucraine e le infrastrutture civili nelle ultime settimane. Mosse che fanno parte del racconto sulle difficoltà che Mosca sta incontrando nella guerra (i russi si sono trovati costretti a chiedere aiuto all’Iran perché non hanno pezzi di ricambio, causa sanzioni, e hanno ridotta capacità di attacco, per questo colpiscono obiettivi civili, per aumentare la ferocia frustrata della loro azione sperando di piegare la popolazione nemica).

Il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha riferito che l’Occidente sta facendo “confusione” e che l’Iran ha venduto alla Russia un “numero limitato di droni mesi prima della guerra in Ucraina”. Finora Amir-Abdollahian e il governo conservatore di cui fa parte avevano sempre sostenuto che non c’erano state vendite di armi alla Russia — lo avevano fatto anche attraverso le comunicazioni ufficiali intrise di propaganda, che le ambasciate come quella italiana hanno fatto circolare per accusare Europa e Stati Uniti di diffondere falsità sulla vicenda. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, ha accusato l’Iran di mentire sul numero di droni venduti alla Russia, osservando che l’Ucraina sta abbattendo almeno 10 velivoli a pilotaggio remoto al giorno.

Che qualcosa non torna (eufemismo) lo ha detto pubblicamente anche l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Robert Malley: l’Iran “ha trasferito decine [di droni alla Russia] proprio quest’estate e ha personale militare nell’Ucraina occupata che aiuta la Russia a usarli”, ha detto su Twitter. “Di fronte alle prove, hanno bisogno di una nuova policy, non di una nuova storia”, ha detto Malley — che è l’Iran-man americano, parte del team obamiano che costruì l’accordo sul nucleare Jcpoa, esperto delle dinamiche interne al Paese già ai tempi in cui guidava il Crisis Group, incaricato da Joe Biden di provare a ricomporre in cocci lasciati da Donald Trump dopo l’uscita dal Jcpoa.

Non è la prima volta nelle ultime settimane che l’inviato statunitense — non certo un falco anti-Iran — prende posizioni del genere e questo racconta la scarsa potabilità iraniana al momento. Poi è evidente che una totale interruzione del dialogo sia dannosa, rischia di relegare Teheran in una condizione di isolamento critica e pericolosa. Forme di contatto continuano, anche attraverso le attività di intelligence e diplomatiche che hanno permesso la liberazione di Alessia Piperno, la travel blogger italiana ingiustamente incarcerata nelle scorse settimane. Ma anche la reazione di chiusura iraniana sulle comunicazioni riguardo alla vicenda testimonia che la presidenza di Ebrahim Raisi e la spinta ricevuta dal mondo teocratico più revanscista e reazionario, siano più indirizzati a sostenere la linea più dura dei Pasdaran che quella dell’apertura.

Tutto si muove mentre da Teheran arrivano notizie non proprio rassicuranti. Le repressioni continuano mentre continuano le proteste, e come prevedibile stanno diventando più violente. Contemporaneamente escono informazioni su nuove forniture — di missili in questo caso, oltre a nuovi droni — alla Russia. Mentre il comandante del comparto aerospazio dei Pasdaran si vanta con la stampa amica che l’Iran ha sviluppato un missile ipersonico in grado di manovrare ad altissima velocità sia all’interno che all’esterno dell’atmosfera (ha detto che tra le sue capacità non ci sarà solo quella di aggirare, ma anche di colpire i sistemi di difesa missilistica). E nuove notizie su potenziali aiuti russi per lo sviluppo del programma nucleare (forse più parte di una narrazione che di una realtà tecnica) filtrano sui media. Una ancora: secondo Politico, l’Iran starebbe fornendo know-how alla Russia sul come creare un sistema finanziario per evadere le sanzioni occidentali sfruttando la propria esperienza sul campo.

Davanti a questo, c’è chi come Linkevicius propone nuove sanzioni e chi invece si organizza per soluzioni alternative. Il ministro della Difesa israeliano uscente, Benny Gantz (che secondo alcuni osservatori potrebbe entrare da una porta posteriore nel nuovo governo Netanyahu per diluire la presenza di forze estremiste di destra) ha dichiarato nei giorni scorsi che Gerusalemme ha la capacità di condurre un’operazione militare contro le strutture nucleari iraniane.

È una dichiarazione non da poco, soprattutto se si considera che, poco dopo la nomina, l’ex primo ministro Naftali Bennett aveva detto pubblicamente di aver scoperto una “totale negligenza” nella preparazione di un’opzione militare israeliana contro l’Iran.

Bennett, Gantz e il primo ministro uscente Yair Lapid hanno sostenuto che la convinzione di Benjamin Netanyahu secondo cui l’ex presidente statunitense Trump avrebbe ordinato un attacco statunitense contro le strutture nucleari iraniane, e il fatto che Netanyahu non abbia approvato un bilancio per considerazioni politiche, avevano portato a una lacuna nella preparazione dell’esercito israeliano. Ora, dopo 18 mesi di esecutivo Bennett/Lapid e con l’aumento della concentrazione sul ristabilire la capacità militare israeliana di condurre attacchi aerei in Iran. L’opzione militare è pronta sul tavolo, stando a quel che dice Gantz (che non è noto per sparate politiche).

“Abbiamo raggiunto la preparazione, abbiamo (altre) capacità che stiamo sviluppando e abbiamo processi a lungo termine che non voglio approfondire”, ha detto. “Dobbiamo preparare questa opzione e dovrà essere considerata molto attentamente prima di prendere qualsiasi decisione”. Netanyahu — noto per avere una linea molto dura nei confronti dell’Iran — ha a disposizione i piani di attacco.


×

Iscriviti alla newsletter