In Germania e Francia ci si interroga sugli errori strategici in materia di energia, tecnologia e industria. Da noi, invece, domina ancora l’ipocrisia
In Germania i sondaggi indicano una crescita esponenziale della diffidenza dei cittadini verso Russia e Cina. Questi umori del populo, per riprendere una felice espressione di Niccolò Machiavelli, si riflettono ampiamente nel dibattito politico e mediatico. I principali leader di Cdu, Spd e Verdi si stanno interrogando sul perché la classe politica tedesca abbia potuto compiere errori strategici di questa portata.
Per Berlino non sarà per niente facile cambiare rotta in materia di politica energetica, tecnologica e industriale. Pare che l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel (insieme al presidente francese Emmanuel Macron) avesse “annusato” le mire aggressive della Russia in Ucraina. Ma da quanto lei stessa ha dichiarato nei giorni scorsi era ormai alla fine del mandato e la sua influenza sul leader russo Vladimir Putin ormai praticamente nulla.
Anche in Francia, sia pure in modo molto più discreto, si è aperta una discussione interessante. Ci si chiede se sia stato giusto fare di Marsiglia l’hub terminale della dorsale dei cavi sottomarini digitale della Cina oppure se debba proseguire la stretta cooperazione con la Russia in campo energetico, per la fusione nucleare e per l’esplorazione congiunta delle risorse naturali dell’Artico.
In Italia, invece, domina ancora l’ipocrisia. Nessuno parla della radicata penetrazione cinese e russa nel nostro Paese. È vero che Giorgia Meloni al G20 di Bali, in Indonesia, ha posto il tema del riequilibrio della bilancia commerciale con il Dragone e che Valentino Valentini, viceministro delle Imprese e del Made in Italy, ha riconosciuti i peccati originari in campo energetico. A parte questi timidi accenni, ciò che domina la scena è il silenzio assordante delle forze politiche.
Pretendere autocritica è troppo, ma una lucida e dettagliata analisi degli errori compiuti è imperativo se l’Italia intende riprendere un ruolo significativo in politica estera.
Negli ultimi 10-15 anni, il governo presieduto da Mario Draghi è stato l’unico che ha cercato di mitigare la “benevolenza” italiana nei confronti di Mosca e Pechino. In questa materia non sono mancati gli alert informativi dei nostri organismi di intelligence su Iveco, Terna, Snam, il ruolo di Gazprom nella rete distributiva del gas, i bandi del 5G favorevoli a Huawei e Zte, le commesse Consip per la video sorveglianza, solo per fare qualche esempio.
La materia è ovviamente bipartisan perché, come accaduto in Germania, ha coinvolto governi di diverso colore politico. Accendere i riflettori sulle relazioni bilaterali intercorse tra Roma e Mosca e tra Roma e Pechino è oggi indispensabile. Serve non solo a ridurre la pericolosa dipendenza tecnologica e energetica dell’Italia da regimi autoritari, ma è al tempo stesso condizione necessaria per ricreare un clima di fiducia tra cittadini e partiti politici.
In Germania i leader politici ne parlano apertamente, perché in Italia tutti zitti? Speriamo che qualcuno si decida a rompere il ghiaccio.