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Italia vs Europa sulle nuove regole del packaging. Cosa non va

La Commissione Europea ha predisposto una bozza di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio che stravolge i principi fin qui adottati per la loro gestione. E lo fa con un atto di diritto, il regolamento appunto anziché la solita direttiva, con lo scopo di rendere subito applicabili le norme senza ulteriori interventi da parte degli Stati membri. Le reazioni in Italia

Se non è un colpo di mano poco ci manca. Con una mossa a sorpresa, infatti, la Commissione Europea ha predisposto una bozza di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, che presenterà al Parlamento e al Consiglio, salvo ripensamenti dell’ultima ora, entro il 30 novembre prossimo, che stravolge i principi fin qui adottati per la loro gestione. E lo fa con un atto di diritto, il regolamento appunto anziché la solita direttiva, con lo scopo di rendere subito applicabili le norme senza ulteriori interventi da parte degli Stati membri. Scatenando una serie di reazioni contrarie  di tutte le imprese del settore e dalle rappresentanze imprenditoriali, a iniziare da Confindustria.

“Avrebbe un impatto devastante su tutte le imprese italiane – ha commentato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi – ossia su quasi 7 milioni di posti di lavoro. Qui non si parla di una direttiva che comporterebbe passaggi legislativi europei e nazionali, ma si utilizza la forma del regolamento proprio per bypassarli. Si preferisce il riuso al riciclo. L’industria italiana è all’avanguardia sul riciclo, dove ha investito per anni. Oggi gli imballaggi sottratti alla discarica sono quasi 11 milioni di tonnellate, pari all’84%”.

Più articolate e nel merito le dichiarazioni di Stefano Pan, delegato di Confindustria per l’Europa in una intervista al Sole 24 Ore: “È necessario posticiparla in modo di avere il tempo di far comprendere l’impatto devastante su un sistema d’eccellenza quale è l’industria del riciclo. Nessuno si sta rendendo conto (a Bruxelles) delle conseguenze che avrebbe su molte filiere, con ricadute pesanti sull’industria alimentare, cosmetica, farmaceutica, chimica, dei dispositivi medici, della cura della casa, della ristorazione e della logistica”.

Ma perché tante critiche ad una proposta che, nelle intenzioni dei legislatori comunitari, intende dare corpo al programma sull’economia circolare dell’Unione? Intanto per la modalità normativa scelta che non lascia spazi di manovra agli Stati membri che hanno messo in piedi, attraverso i diversi compliance scheme nazionali, modelli di gestione differenti e ai quali adesso si impongono rigide regole uguali per tutti. E poi per un approccio ideologico, “che spinge più sul riutilizzo che sul riciclo”. “Che può anche funzionare, spiega ancora Pan, ma non bisogna usarlo per scardinare la filiera esistente. La sostenibilità ha tre gambe: ambientale, sociale, economica. Quest’ultima non è stata approfondita come avrebbe dovuto. Stiamo cercando di coniugare ambizione e realismo, spiegando le implicazioni vere di questa proposta di regolamento”.

La proposta della Commissione contiene 15 capitoli, 80 articoli e 14 allegati. Una riscrittura tout court di tutta la normativa sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi. Si applica, infatti, a tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Unione europea e a tutti i rifiuti di imballaggio, indipendentemente dal loro uso (industriale, commerciale, domestico). L’obiettivo è di prevenire e ridurre il loro impatto negativo sull’ambiente e la salute umana, e contribuire alla transizione verso un’economia circolare.

Come? Limitando la quantità degli imballaggi immessi sul mercato, aumentandone il riutilizzo e prevenendo la produzione di rifiuti. E ancora, incrementando l’uso di materiali riciclati negli imballaggi per garantire un riciclo di qualità e ridurre altre forme di recupero e lo smaltimento in discarica. Un’attenzione particolare viene dedicata (e non poteva essere altrimenti) agli imballaggi in plastica, che dovranno contenere una percentuale di riciclo secondo scadenze e modalità stabilite.

Lo stesso neo ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha mostrato tutta la sua contrarietà sia per il “veicolo normativo scelto, un regolamento, che non lascia alcuna flessibilità di applicazione, sia per i contenuti. Le scelte devono essere supportate da valutazioni tecnico scientifiche che consentano di perseguire modelli che comportano i benefici maggiori sotto il profilo sociale ed economico”. “Inoltre – ha sottolineato il ministro – se un modello nazionale funziona (ed è questo il caso del sistema di gestione degli imballaggi italiano) la normativa comunitaria deve supportarlo e non sostituirlo con un altro dall’efficacia incerta”.

“Con l’istituzione del Conai – ha dichiarato a Formiche.net Barbara Gatto, responsabile del dipartimento Politiche Ambientali della Cna– l’Italia ha adottato da tempo un modello che ha garantito una efficace gestione dei rifiuti di imballaggio e favorito il conseguimento degli obiettivi di riciclo e ha operato a supporto delle imprese secondo un obiettivo generale di prevenzione. Ci preoccupa pertanto l’imposizione calata dall’alto di modelli rigidi che rischiano di non valorizzare l’esperienza già adottata nel nostro Paese e di ricadere sul nostro sistema economico composto in massima parte di imprese piccole e medie”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Angelo Tortorelli, vice presidente del Conai, rappresentante Confcommercio. “Come già altri settori produttivi, anche quello del commercio è molto preoccupato per queste nuove norme calate dall’alto senza preavviso. Noi ci auguriamo che venga procrastinata la data di comunicazione ben oltre il mese di novembre, così da dar modo ai Paesi e agli stakeholder di potersi confrontare con gli uffici della Commissione su contenuti e tempistiche. Quello degli imballaggi è un settore che ha un impatto rilevante non solo sull’ambiente, ma anche sul sociale e sull’economia. Chiediamo un rinvio e un confronto sui contenuti che investono un milione circa di aziende”.

La Commissione Europea per la prima volta non si limita, come in passato, a fissare degli obiettivi lasciando ai Paesi membri la facoltà di raggiungerli in base alle proprie specificità nazionali. Per alcune tipologie di imballaggi identifica il cauzionamento, il Deposit Return System (DRS) il modello di restituzione che i singoli Paesi dovrebbero adottare. Il modello italiano, basato sulla raccolta differenziata, rappresenta un’eccellenza nel panorama europeo. L’Italia ha già superato con largo anticipo, con il suo 73% di riciclo, gli obiettivi fissati dall’Unione Europea per il 2025 ed è vicina a quelli del 2030.

“L’introduzione di un DRS per il riciclo, spiega una nota diffusa dal Conai,  laddove esiste già un circuito efficace di raccolta differenziata e valorizzazione degli imballaggi, rappresenterebbe una duplicazione inutile di costi economici e ambientali, perché andrebbe ad affiancarsi, senza sostituirsi in tutto, alle raccolte differenziate tradizionali”. “L’introduzione del cauzionamento a livello nazionale in Paesi come il nostro, conclude la nota, risulta una soluzione non necessaria e nemmeno opportuna”.

Siamo solo all’inizio di un confronto che vedrà nei prossimi mesi su posizioni opposte due modi di concepire e attuare la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio. Da una parte la Commissione, animata quasi da uno spirito massimalista e ideologico che pone al centro della gestione degli imballaggi e dei loro rifiuti il riuso e il riutilizzo di questi beni. (Qualcuno, malignamente, ha fatto trapelare come queste norme siano state suggerite da quei Paesi che sono indietro con il riciclo e hanno difficoltà a raggiungere  gli obiettivi fissati dalla direttiva). Dall’altra le aziende, come quelle italiane, che in questi anni hanno investito massicciamente su impianti e tecnologie di riciclo e che si vedono costrette, se dovesse andare in porto questo regolamento, a smantellare un sistema che è da tutti riconosciuto come un’eccellenza del settore.

 

 

 

 

 

 


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