Putin ha perso Kherson e buona parte dell’immagine. Non può passare da leader muscolare e vincente, come piace ai fan internazionali, e vede crescere le difficoltà nel gestire la sua presenza pubblica in palcoscenici globali come il G20. Per questo non va a Bali?
Il presidente russo, Vladimir Putin, non andrà al vertice del G20 di Bali della prossima settimana. Doveva essere il primo meeting con presenti capi di Stato e di governo occidentali a cui il leader russo avrebbe partecipato da quando il 24 febbraio ha lanciato la campagna di invasione in Ucraina. Doveva ricevere in quel contesto una qualche sponda degli altri partecipanti come per esempio la Cina, o l’India, il Sud Africa, l’Arabia Saudita, o l’ospitante Indonesia, che nel corso del conflitto hanno mantenuto una linea discreta senza avanzare troppe accuse nei confronti di Mosca. Doveva essere un ambiente in cui Putin dimostrava di non essere un reietto ma di poter portare avanti la sua azione internazionale, nonostante tutto.
E invece resterà al Cremlino. La decisione arriva a poche ore dalla più grande sconfitta militare subita dalla Russia in Ucraina, la ritirata da Kherson. E a pensar male potrebbe anche esserci un collegamento. Kherson, capoluogo della provincia meridionale che connette la penisola crimeana al resto del Paese, era quella più di valore tra le città finora conquistate dalla Russia. Quando i più disattenti tra coloro che provano ad analizzare il conflitto e gli interessi russi parlano della guerra, le loro opinioni passano sempre da Kherson. La Russia vuole chiudere l’accesso al Mar Nero all’Ucraina, e il controllo di Kherson dimostra che ci stanno riuscendo, dicono.
Ora tutti i verbi delle ultime due frasi vanno messi al passato, perché il campo, la realtà, dimostra l’opposto. L’Ucraina, grazie alla tempra del proprio esercito e ai rifornimenti militari occidentali, è riuscita a spingere la Russia fuori da un territorio che non solo è strategico, ma finora è stato simbolico per il limitato successo russo nella cosiddetta “operazione militare speciale”. Se si considera che adesso di fatto Mosca controlla poco più dell’area del Donbas che occupa — illegalmente, attraverso i proxy separatisti ucraini — dal 2014, le ritirare e i ripiegamenti tattico-strategici dell’intera campagna, l’assenza di riscontri della spinta narrativa data con la nuova mobilitazione, i limiti della mossa armata di Putin sono tutti evidenti.
Il leader russo ha avviato una guerra in Europa senza giustificazione, ha scombussolato il mercato energetico globale, ha avviato una crisi alimentare internazionale, ha esposto diversi regioni del mondo a potenziali scossoni e contraccolpi critici. Tutto senza raccogliere successi. A questo vanno aggiunti i dati drammatici diffusi dagli Stati Uniti, attraverso le parole di ieri, mercoledì 9 novembre, del generale Mark Milley, capo delle Stato maggiore congiunto delle Forze armate Usa: i russi hanno avuto oltre centomila perdite, forse altrettanto tra militari e civili ucraini.
La guerra di Putin è già costata più di duecentomila morti, e dei dati americani c’è da fidarsi visto il livello di confidenza che da febbraio (e forse anche prima) dimostrano di avere su ciò che sta succedendo sul campo. Davanti a tutto questo, per un uomo di stato che ha fondato la sua leadership sul dimostrare la propria forza (anche nella comunicazione personale, tra muscoli mostrati, mosse di judo, corse a petto nudo a cavallo), diventa impossibile accettare la realtà.
L’hybris putiniana ha portato la Russia a un livello di non potabilità internazionale e forse questo anche c’è nella decisione di evitare il summit di Bali. Chi avrebbe parlato con lui? Come? Un leader muscolare è accettabile da qualcuno a patto che sia vincente, ma davanti alle debolezze come gestire le relazioni? Un esempio di questo riguarda il rapporto con il cinese Xi Jinping, che un tempo definiva Putin il suo migliore amico tra i leader globali e adesso ha iniziato a creare un perimetro tra sé e il russo — il messaggio che vuole trasmettere Xi sta nel non accumunare Pechino con Mosca.
Gestire i contatti pubblici su un palcoscenico come il G20 sarebbe stato complicato sia per Putin che per ex o potenziali amici. Saltare l’appuntamento è la soluzione più immediata, che però potrebbe avere risvolti negativi. Un Putin isolato, all’angolo, potrebbe essere portato a mosse estreme? Per scendere nel triviale: la perdita di Kherson, di cui Putin aveva proclamato l’annessione alla Russia, significa che per Mosca si apre la possibilità dell’uso della atomica una volta finita la ritirata?
Putin è del tutto consapevole del peso della sconfitta subita a Kherson? A giudicare dal volto con cui il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, e il capo delle forze in Ucraina, il generale Sergei Surovikin, hanno annunciato la smobilitazione dalla città (spostando le truppe dietro alla difesa geomorfologia del Dniepr) questa consapevolezza c’è. Si respira aria di sconfitta (non nella guerra per ora, ma in quella importante battaglia) anche tra i falchi militari più vicini al presidente come il capo dei miliziani del Wagner Group, Evegeny Prighozin, e il leader delle squadracce cecene, Ramzan Kadyrov. Due putinianissimi ras che hanno scalato le gerarchie militari anche attaccando pesantemente la leadership regolare delle forze armate.
Stavolta, su Kherson, hanno linea più controllata. Le accuse contro il ministero e i generali sono meno aggressive perché evidentemente la ritirata era inevitabile — frutto di una controffensiva che a sud come a ovest va avanti da mesi e ha logorato il fronte controllato dai russi. Oppure, come qualcuno si slancia, è tutta una tattica? I russi fingono un ritiro per attirare gli ucraini in avanti, farli esporre e infliggere pesanti perdite?
Non è mai chiaro cosa Putin abbia in mente, e da capo delle forze armate questa ambiguità viene riversata anche sulle operazioni militari. D’altronde, anche l’annuncio di una decisione di cui si parla da tempo — il ritiro da Kherson, da cui i civili sono stati evacuati dal 19 ottobre — è arrivato con una tempistica particolare: il 9 novembre, ossia il giorno dopo del MidTerm. Ossia, ancora, Putin ha probabilmente voluto evitare che Joe Biden potesse beneficiare di una qualche narrazione di successo nella guerra sul voto di metà mandato che ha rimodellato gli equilibri del Congresso.