Il ritiro russo da Kherson è una nuova occasione per tornare a far parlare di negoziati. Ma come? Putin è pronto a cedere tutto? Zelensky accetterà sovranità parziale? Nuove armi a Kiev continuano ad arrivare a Kiev, che è in una fase in cui difficilmente può accettare di fare concessioni a Mosca
Una giornalista televisiva italiana chiede a un’analista esperta di Russia se adesso che Vladimir Purtin ha ordinato il ritiro delle sue forze dalla città di Kherson si potrà “finalmente” arrivare a una trattativa con Kiev. Il sorriso sarcastico sulla risposta serve a sottolineare l’alterazione dei piani. Quali trattative?
L’Ucraina è in vantaggio sul campo da settimane (forse in reale svantaggio non lo è mai stata) e cosa dovrebbe trattare se non la totale, incondizionata resa russa? Così dicono da Kiev, indicando che la resa dovrebbe coincidere con una ritirata che restituisca a Kiev l’intero controllo territoriale. Ossia quell’integrità e sovranità di cui si parla nei comunicati ufficiali dei Paesi occidentali e di cui forse sfugge il senso.
Trattare per gli ucraini — in questo momento più che mai — significa chiedere a Mosca di uscire totalmente dal Paese, Crimea compresa, e annullare completamente i dispositivi legislativi con cui Putin ha firmato i provvedimenti di annessione alla Russia di due province ucraine nel Donbas e di altrettante centro-meridionali, tra cui c’era Kherson. Altrimenti sul tavolo c’è appunto l’opzione Kherson: combattere per costringere i russi alla ritirata.
Se quest’ultima è un’ipotesi molto rischiosa (che si porta dietro i rischi della guerra, tra rovesciamenti imprevedibili, tenuta del fronte, morte e distruzione), l’altra forma di trattativa è ancora meno realistica, adesso. Perché significherebbe l’ammissione da parte della Russia, ossia di Putin, di una sconfitta incondizionata, che significherebbe la fine della sua storia e porterebbe chi negozia con la Russia in una posizione di vantaggio tale da immaginare la possibilità di chiedere altro (per esempio, l’eliminazione del seggio permanente al CdS dell’Onu, o uno smantellamento bellico, e chissà cosa ancora).
L’alternativa a queste due vie estreme è una mediazione, ossia accettare che la Russia si sieda a un tavolo di deconflicting e avanzi le sue proposte. Difficilmente Mosca accetterà qualcosa di meno rispetto ciò che controlla al momento, e questo significherebbe legittimare che con la forza si possono ancora (nel 2022) alterare gli status quo, il diritto internazionale, la sovranità e l’esistenza di altra Nazioni. Non è altrettanto rischioso? Dopo l’Ucraina a chi toccherà subire l’aggressione? Quale altro Paese si riterrà legittimato a procedere verso una campagna militare contro un rivale?
E ancora: cosa può legittimare un’azione armata, considerando che la Russia otterrebbe risultati dopo aver lanciato un’offensiva sull’Ucraina in tempo di pace e senza alcuna ragione giustificata? Di più: siamo sicuri che Putin, una volta ottenuto con la mediazione ciò che voleva (sebbene in forma ridotta), sia dissuaso dall’attaccante nuovamente, consapevole che in futuro potrebbe ottenere qualche altro risultato? In definitiva: sicuri che mediazione significhi pace?
Su tutto questo poi non si considerano le volontà del Cremlino. Putin è disposto a un qualche negoziato, anche uno che conceda un successo parziale (ammesso, si ripete che esso sia giusto)? Impossibile dirlo, il regime russo è imperscrutabile, ma a giudicare da ciò che esce sui canali di comunicazione propagandistica pro-Putin, tutta questa disponibilità non c’è. Tant’è che i falchi della comunicazione putiniana sostengono che presto le forze russe torneranno al di là del fiume Dniepr. Ossia nella città di Kherson.
Sono dichiarazioni che servono per alimentare la propaganda, chiaro, anche perché tecnicamente è molto difficile pensare a una contromossa del genere visto che nella ritirata i russi hanno fatto saltare i ponti per sfruttare al meglio la protezione geomorfologica offerta dal fiume. Tuttavia non pare che al momento il Cremlino sia interessato a spostare la sua narrazione verso un’accettazione di un negoziato.
Di cui tuttavia si parla anche perché i Paesi partner dell’Ucraina, gli sponsor militari occidentali, sembrano interessati a far arrivare un messaggio di mediazione. E forse è anche un modo per evitare che Putin sia soffocato nell’isolamento e, asfissiato, reagisca con scelte sciagurate — leggasi l’uso folle dell’atomica (che probabilmente non è nell’interesse russo, ma il calcolo di un autocrate senza via di uscita è francamente inimmaginabile anche per le più sofisticate delle intelligence).
Alcuni funzionari statunitensi e occidentali sono sempre più convinti che nessuna delle due parti possa raggiungere tutti i propri obiettivi nella guerra in Ucraina e guardano al previsto rallentamento invernale dei combattimenti come a un’opportunità per avviare la diplomazia tra Russia e Ucraina. Alcuni dubitano della capacità dell’Ucraina di far retrocedere completamente le truppe russe dalle aree occupate e, se le operazioni militari sul terreno si stabilizzeranno durante l’inverno, ciò potrebbe sottolineare che nessuna delle due parti è in grado di sopraffare l’altra.
“In inverno, tutto rallenta”, ha detto un funzionario occidentale con conoscenza diretta delle operazioni militari a NBC News. “Il potenziale per i colloqui, vorremmo che si realizzasse”. La dichiarazione dell’ambasciatore russo nel Regno Unito, fatta la scorsa settimana, sulla possibilità di negoziati viene vista come possibile “messaggio” verso un percorso diplomatico. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha effettuato una visita a sorpresa sempre la scorsa settimana a Kiev, dove ha incontrato Zelenskyy e alti funzionari ucraini. La Casa Bianca ha dichiarato che gli incontri servivano a “sottolineare il fermo sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina e al suo popolo”. Ma fonti hanno fatto arrivare ai giornali qualcosa di diverso: Sullivan avrebbe iniziato ad affrontare con Kiev l’idea di come il conflitto possa finire e se possa includere una soluzione diplomatica.
Un’operazione per sondare il terreno? È possibile, ma attenzione: anche le indiscrezioni parlano che la posizione americana sia vincolata al ritiro completo della Russia dal territorio ucraino. Va aggiunto che senza aiuti militari gli ucraini avrebbero avuto poco da difendersi, e non saremmo arrivati a questo punto — dove Kiev ha vantaggi e Mosca è in difficoltà sul campo e sul piano politico internazionale. Anche per questo la carta militare resta ferma sul tavolo a guidare il gioco.
Gli Stati Uniti stanno inviando all’Ucraina altri 400 milioni di dollari di armi, tra cui 4 sistemi di difesa aerea Avenger in grado di difendere il territorio dai missili da crociera; inoltre missili Hawk e munizioni per gli Himars. La Corea del Sud, secondo le informazioni del Wall Street Journal, ha detto che invierà centomila proiettili di artiglieria da 155mm. Il nuovo primo ministro inglese, Rishi Sunak, durante una telefonata con Zelensky ha promesso altri missili terra-aria e 25mila kit di abbigliamento militare per temperature estreme. L’inverno sta arrivando, le armi accompagnano la diplomazia.