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Il Pd e il caso Moratti: da Marx a Tafazzi. La versione di Cazzola

È come se al Pd che, dopo la pesante sconfitta elettorale, vaga senza meta nel deserto alla ricerca disperata di una identità smarrita piovesse all’improvviso una manna dal cielo; ma quei pellegrini preferissero morire di fame, piuttosto che mangiare quel cibo…

“Non c’è un solo motivo al mondo per cui il Pd debba candidare Letizia Moratti, ex ministra di Berlusconi ed ex assessora del leghista Fontana”. Sono parole di Enrico Letta alla notizia della candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della Regione Lombardia con una sua lista civica. Di rincalzo l’Erinni Rosy Bindi, minaccia di strappare la tessera se il suo partito si azzarda a raccogliere l’invito rivoltogli da Letizia Moratti a costituire un’alleanza riformista (insieme ai Dioscuri del Terzo Polo che hanno colto al volo l’occasione ghiotta) in grado di sconfiggere la destra da decenni al governo di quella regione, la cui importanza in Italia, in Europa (potremmo dire anche nel mondo) svetta ai vertici di un primato.

Da quel momento, all’interno del Pd (con l’appoggio dei talk show satelliti) è iniziata una campagna di demolizione personale dell’ex sindaco e dell’ex ministro che testimonia l’imbarazzo del gruppo dirigente del partito nel rifiutare un’opportunità tanto significativa che, a pochi mesi dalle elezioni politiche, potrebbe determinare un potente scossone del quadro politico nazionale.

In sostanza – nonostante molti esponenti dem siano interessati a quell’operazione e ne comprendano il valore politico – la grande maggioranza a Roma e in Lombardia la considerano insostenibile e impraticabile a causa della storia politica di Letizia Moratti. Si direbbe quasi che i dem disapprovino le sue dimissioni dalla giunta Fontana in cui ha svolto con competenza il ruolo di assessore alla Sanità (Moratti ha troppo buon gusto per farsi chiamare “assessora’’); e lo facciano, in malafede, rimuovendo il significato della chiara presa di distanza di carattere politico nei confronti della nuova destra e dei primi atti politici del governo Meloni, con cui Moratti ha spiegato la decisione di scendere personalmente in campo, e si riducano a concentrare i propri commenti sull’ipotesi di una reazione piccata nei confronti degli alleati che si erano rimangiati la promessa (?) di candidarla al posto del governatore uscente. In sostanza a gettare sulla vicenda l’ombra di una lite sulle poltrone (come se nel Pd non fossero attenti alle questioni di potere).

Metto subito la mani avanti: a mio avviso il Pd, con queste azioni, ricorda sempre più la sventura di quei grandi cetacei che, smarrito l’orientamento, finiscono per andare a morire sulle spiagge. Se poi vogliamo scomodare il pensiero filosofico, non ci rimane che prendere atto di un importante salto culturale: il gruppo dirigente dem ha abbandonato Gramsci e si è accodato a Tafazzi. Come si fa a non capire che l’operazione Moratti è per loro un inaspettato colpo di fortuna? Come diceva Margaret Thatcher “l’imprevedibile accade’’ e può cambiare uno scenario politico ritenuto per anni consolidato e immutabile.

È come se alla tribù del Partito democratico che, dopo la pesante sconfitta elettorale, vaga senza meta nel deserto alla ricerca disperata di una identità smarrita e sottoposta alle incursioni dei predoni pentastellati, piovesse all’improvviso una manna dal cielo; ma quei pellegrini preferissero morire di fame, piuttosto che mangiare quel cibo.

Guardiamo in faccia la realtà. La Lombardia ha assistito, nel settembre scorso, a uno strepitoso sfondamento di Fratelli d’Italia. Nelle elezioni regionali del 2018 in Lombardia la Lega aveva ottenuto il 29,65%, Forza Italia il 14,32%, Fratelli d’Italia il 3,64%. Le elezioni politiche del 2022 in Lombardia hanno sconvolto questi dati. La Lega è scesa al 13,9%, Forza Italia al 7,9%, Fratelli d’Italia è salita al 27,6%. È evidente che questi nuovi rapporti di forza cambiano la stessa natura del centrodestra. Anche se il candidato di quello schieramento fosse di nuovo Attilio Fontana, la maggioranza in Consiglio regionale vedrebbe prevalere il gruppo di FdI.

Ci sono quindi tanti buoni motivi per una persona moderata come Letizia Moratti per non ritrovarsi più in casa propria in una coalizione in cui sono invertiti i ruoli tradizionali. La leadership lombarda è stata a lungo del “celeste” Roberto Formigoni, di Forza Italia; poi è subentrata la Lega con Roberto Maroni e Attilio Fontana. Il centrosinistra non ha mai toccato palla. Nessuno può garantire che una coalizione guidata da Moratti, allargata al Pd, sia sicura di vincere; ma di certo la Regione diventerebbe contendibile e non lo sarebbe mai, per i dem, in un diverso quadro di alleanze.

Non a caso non riescono neppure a trovare un candidato, dopo aver bruciato per insipienza Carlo Cottarelli ed insistito invano con Giuliano Pisapia. Mettiamo il caso, però, che l’operazione riesca. Sarebbe una sconfitta per il governo e per Giorgia Meloni, a pochi mesi di distanza dal successo elettorale, in Lombardia. Inoltre, da un punto di forza come la regione più importante d’Italia, potrebbe consolidarsi il profilo di quel centro moderato, democratico e repubblicano, che i “cespugli” della coalizione di destracentro non sono stati in grado di prefigurare nelle elezioni politiche. Come si fa a non infilarsi in una crepa del fronte avversario che si è aperta all’improvviso?

Nell’estate del 2019, dopo il clamoroso autogol di Matteo Salvini (che voleva capitalizzare con le elezioni anticipate, il risultato delle consultazioni europee, delle elezioni regionali e le percentuali accreditategli nei sondaggi, con la richiesta dei “pieni poteri”) il Pd si convinse – ma ci volle molta insistenza – ad appoggiare il Conte 2: il premier del precedente governo del blocco dei porti, dei decreti sicurezza, dell’abolizione della prescrizione, del RdC e di quota 100, del trumpismo in politica estera, delle feste sul balcone e della chiusura dell’Italia al tempo del virus. Fu un’operazione positiva che instradò la Lega e il suo leader sul cammino del declino. Poi tra il Pd e Conte scoppiò un amore che come tutti quelli grandi “non finiscono, fanno giri immensi poi ritornano”, nonostante le turbolenze della campagna elettorale. Adesso, con questi precedenti, fare i difficili con Letizia Moratti è un’assurdità. O peggio.

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