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Un aumento non fa primavera. Il salvataggio di Mps secondo Nicola Rossi

Intervista all’economista del Bruno Leoni ed ex parlamentare: non è affatto detto che i contribuenti rivedano, in tutto o in parte, i non pochi miliardi di euro investiti nel Monte. Ma quel che è più grave è che non sono poche le probabilità che la banca continui a far parlare di sé in futuro e non necessariamente in positivo. La manovra? Basta fare il minimo indispensabile

 

La ricapitalizzazione del Monte dei Paschi è andata in porto (l’aumento è stato coperto al 96,3%) e adesso il piano industriale messo a punto, lo scorso febbraio, dal ceo di Mps, Luigi Lovaglio, può finalmente passare alla fase operativa. E il primo mattoncino sono le oltre 4 mila uscite volontarie da Rocca Salimbeni, il cui costo si aggira su per giù intorno al miliardo. Praticamente l’ammontare della quota di aumento garantita dagli investitori privati: fondi, fondazioni, piccole banche.

Per salvare Mps, il Tesoro azionista e padrone (64%) di Siena, ha staccato un assegno da 1,6 miliardi di soldi pubblici. Poi sono intervenute le fondazioni fondazioni bancarie, chiamate a raccolta dallo stesso Mef, unitamente agli ancor investor e altri investitori privati. A prima vista potrebbe sembrare un’operazione a trazione statale e forse lo è. E allora, volendo per un momento fare l’avvocato del diavolo, c’è da chiedersi se il film visto una settimana fa non sia quello già visto nel 2017, con la nazionalizzazione di Mps, sempre a carico dello Stato. C’è la reale possibilità che il salvataggio di Mps si scarichi sui contribuenti? E davvero la ricapitalizzazione ha permesso di tirare fuori definitivamente Rocca Salimbeni dalle seche? Domande direttamente girate a Nicola Rossi, economista dell’Istituto Bruno Leoni ed ex parlamentare.

Mps è salva, o meglio ricapitalizzata. Ma volendo fare gli avvocati del diavolo, il grosso dei soldi ce li ha messi lo Stato, un’altra fetta le fondazioni. Ancora un’operazione sulla pelle dei contribuenti? O è solo una forzatura?

Una piena riuscita dell’aumento di capitale era essenziale per il futuro della banca senese. Ma questo non significa che si sia trattato di un successo: si fa molta fatica ad intravedere un reale interesse da parte degli investitori privati per il Monte dei Paschi e, visibilmente, l’azionista di maggioranza ha dovuto usare tutte le sue capacità di persuasione perché alcuni investitori istituzionali accettassero di essere della partita. Il che lascia supporre che il futuro del Monte dei Paschi sia ancora avvolto nella nebbia.

Non sembra una buona notizia, mi scusi…

Non è affatto detto che i contribuenti rivedano, in tutto o in parte, i non pochi miliardi di euro investiti nel Monte. Ma quel che è più grave è che non sono poche le probabilità che il Monte continui a far parlare di sé in futuro e non necessariamente in positivo.

Rossi, per la banca ora si apre la stagione del risanamento, degli esuberi e delle future, si spera, nozze. Ma alla fine, lo Stato uscirà davvero da Siena?

Voglio augurarmi che lo Stato italiano, nella persona del governo in carica, voglia mantenere puntualmente gli impegni presi in sede europea. Quando lo farà potremo valutare compiutamente il costo per i contribuenti italiani di un salvataggio che, come accade a molti salvataggi bancari, sul momento era sembrato inevitabile ma che a distanza di tempo non è affatto ovvio che lo fosse.

Cambiamo argomento. La manovra che va prendendo forma sembra essere tutto sommato in linea con i desiderata europei. A cominciare dalla traiettoria del debito, discendente nel lungo termine. Una lettura corretta?

Il governo ha ritoccato al ribasso il tasso di crescita tendenziale del prodotto per il 2023 portandolo allo 0,3%. Ciò ha consentito all’esecutivo di collocare il tasso di crescita programmatico più o meno lì dove era prima attestato il tendenziale e cioè allo 0,6%, in ragione di un indebitamento netto passato dal 3,4% tendenziale al 4,5%. Un numero scelto con attenzione in maniera da continuare a garantire un percorso discendente per il debito pubblico.

Dunque?

Dunque è lecito ipotizzare che questa soluzione possa essere condivisa in sede europea ed è comprensibile che un governo appena insediato non sia andato oltre. Ma temo che, se il governo attuale in futuro si limiterà, come i precedenti, a fare solo il minimo indispensabile per ottenere il placet europeo, non andremo molto lontano. Perché alla luce delle condizioni della finanza pubblica italiana e della sua intrinseca vulnerabilità il minimo indispensabile è, purtroppo, lungi dall’essere sufficiente.

Presto o tardi, insomma, servirà un cambio di passo. Istruzioni?

Nelle condizioni in cui versa l’economia italiana la disciplina delle finanze pubbliche dovrebbe essere il nostro primo punto in agenda e non già per venire incontro alle richieste europee ma perché necessaria per mettere in sicurezza il Paese. Ed è appena il caso di segnalare come la Nota di aggiustamento del Documento di economia e finanza evidenzia, con chiarezza, come l’Italia sia sostanzialmente priva di margini di manovra dal punto di vista della finanza pubblica. E gli ultimi anni dovrebbero averci insegnato che di un po’ di margini di manovra a volte c’è bisogno se non si vuole ogni volta dipendere dalla collaborazione altrui.


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