Di fronte alle incognite delle mille richieste di sforamento, dalle pensioni alla flat tax, il Tesoro mette le mani avanti, adottando una vecchia regola europea. Quella del pessimismo delle previsioni… L’analisi di Gianfranco Polillo
La nuova Nadef, appena resa pubblica, consente una migliore valutazione della manovra che il governo intende compiere. Lo scostamento teorico previsto, al momento, è quantificato, in 21,9 miliardi nel prossimo anno e altri 2,1 per il 2024, per effetto del relativo trascinamento. Si spera, invece di recuperarne circa 6,5 nel 2025, quando l’indebitamento netto dovrebbe ridursi al 3 per cento del Pil.
Si tratta in tutti e tre i casi di cifre teoriche. Le poste di bilancio, così modificate da un prossimo voto del Parlamento, saranno solo tetti di spesa. “Al più tardi in occasione della predisposizione del prossimo Def, – è precisato nella nota – si valuterà se sussista l’esigenza di ulteriori interventi di calmierazione delle bollette e di aiuti a imprese e famiglie, e si definiranno le modalità di finanziamento di tali interventi”. Va da sé che, se la situazione dovesse migliorare sul fronte dei prezzi, non tutte quelle somme sarebbero spese. Resta infine da aggiungere che quando Matteo Salvini ipotizzava uno scostamento di 30 miliardi non era poi così lontano dal vero.
A seguito delle nuove previsioni, due le maggiori conseguenze. Il saldo primario del bilancio, vale a dire la differenza tra il complesso delle spese al netto degli interessi e la totalità delle entrate, che si sperava tornasse positivo, rispetto al triennio precedente, continuerà invece ad essere negativo per tutto il 2023. Salvo migliorare leggermente negli anni successivi. Va solo ricordato quanto quest’elemento sia sensibile ai fini della valutazione dei mercati internazionali. Se il saldo è positivo, esso copre in parte o in tutto la spesa per gli interessi. Altrimenti si somma, per cui la maggiore esposizione finanziaria diventa un segno di lassismo.
Il secondo effetto sarà, invece, dato dall’ulteriore crescita del rapporto debito-Pil. Che alla fine del triennio, subirà un aumento pari ad 1 punto di Pil, rispetto al tendenziale. Dopo il picco raggiunto nel 2020, grazie al duo Conte-Gualtieri, la sua discesa continuerà anche se a una velocità inferiore. Un possibile problema rispetto alle ventilate ipotesi di riforma del Patto di stabilità. Si dovrebbe infatti passare da un semplice algoritmo, dimostratosi inapplicabile, a una discussione di merito caso per caso. Avendo come interlocutrice la Commissione europea, rispetto alla quale prendere accordi vincolanti.
Le cifre riportate dalla Nadef mostrano, comunque, quanto sia rilevante lo sforzo da compiere. Da un punto di vista sociale esso è indispensabile per far fronte all’impennata dei prezzi dei prodotti energetici e delle materie prime, compresi gli alimentari. Nel 2021 questi aumenti, comunque molto più contenuti, erano stati la conseguenza della simultanea ripartenza del ciclo internazionale, dopo i lockdown, imposti dall’epidemia. Ma dal febbraio di quest’anno, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la situazione era diventata esplosiva. Il solo gas, per fare un esempio, che lo scorso anno era commercializzato a un prezzo medio 47,8 euro a megawatt nel 2022 aveva raggiunto la media di 136,1 euro.
Tutto bene, quindi? Non sembrerebbe, almeno se si guarda ai risultati attesi. È infatti evidente che l’impiego di una somma così rilevante (un totale di 24 miliardi di euro) non può essere giustificata solo con il nobile impegno di alleviare le umane difficoltà. Per comprenderne la ratio più profonda è necessario vedere se, e in che misura, essa può contribuire al rilancio dell’economia. Problema, quello della crescita, che, come si ricorderà, era stato uno dei punti centrali del discorso di investitura del presidente del Consiglio, nel dibattito sulla fiducia.
Da questo punto di vista, il documento suscita non poche perplessità, a partire da come è stato calcolato il quadro macroeconomico tendenziale nel passaggio dalla Nadef elaborata dal governo Draghi (fine settembre) a quella del governo Meloni (4 novembre). Per l’anno in corso il tasso di crescita è stimato nel 3,7 per cento del Pil, contro il 3,3 per cento di qualche mese prima. Scelta condivisibile. Sennonché l’Istat, solo qualche giorno fa, ha indicato nel 3,9 la “variazione acquisita” per l’anno in corso. Quel valore sarà raggiunto anche qualora il quarto trimestre dell’anno presentasse un tasso di crescita pari allo zero. Ipotizzare, invece, una crescita pari al 3,7 per cento, significa temere un crollo del Pil, nel quarto trimestre dell’anno, dello 0,6 per cento. Ipotesi Non solo non auspicabile, ma nemmeno probabile.
Seconda osservazione. Per il 2023, la correzione è invece al ribasso. A settembre le ipotesi erano di un tasso di crescita dello 0,6 per cento. A novembre della metà: 0,3. Difficile fare ipotesi. Ma sono in molti a scommettere, compreso lo stesso Visco, governatore della Banca d’Italia, alle prese con le previsioni del suo istituto antecedenti il dato Istat, su un effetto positivo di trascinamento. Per cui i migliori risultati del terzo trimestre (più 0,5 contro un ipotizzato meno 0,2) dovrebbero influenzare positivamente anche i trimestri successivi. E non viceversa. Pertanto già nel tendenziale 2023 i risultati sarebbero dovuti essere migliori.
Ma i dubbi maggiori riguardano il quadro programmatico. Quello cioè che incorpora la manovra di 24 miliardi: risorse aggiuntive nelle tasche degli italiani per far fronte al caro bollette. L’effetto positivo sul 2023, secondo la Nadef, dovrebbe comportare una maggiore crescita del Pil, pari solo allo 0,3 per cento. A un aumento dell’indebitamento pari all’1,1 per cento del Pil corrisponderebbe una spinta che è pari a poco più di un quarto. Valutazione irrealistica: avrebbe chiosato Olivier Blanchard. L’ex capo economista dell’Ocse che, in passato, aveva denunciato la forte sottovalutazione dei moltiplicatori fiscali (il rapporto tra manovra e riflessi sul Pil) che aveva portato all’inferno dell’austerity.
Un nuovo sbaglio, allora? O semplice legittima difesa. Di fronte alle incognite delle mille richieste di sforamento – dalle pensioni alla flat tax – il Tesoro mette le mani avanti, adottando una vecchia regola europea. Quella del pessimismo delle previsioni, per calmare i bollenti spiriti degli spendaccioni.