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Il papa in Bahrein torna a spiegarci che pace si dice cittadinanza

Se c’è un rapporto tra passato e presente che può emergere dal viaggio in Bahrein è questo: la riconciliazione è possibile e questa volta potrebbero essere le fedi a farlo capire. La riflessione di Riccardo Cristiano

Il 3 novembre porterà papa Francesco in Bahrein per partecipare al forum per il dialogo tra Oriente e Occidente “Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence”, incontrare il Consiglio Islamico degli Anziani  e ovviamente incontrare la comunità cristiana e quella cattolica, grazie anche all’apertura della più grande cattedrale cattolica, Nostra Signora d’Arabia, consacrata dal cardinale Tagle tempo addietro.

In un’intervista al sito della Santa Sede, Vaticannews, il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin ha detto del viaggio che “il segnale è sempre quello: in un mondo caratterizzato da tensioni, da contrapposizioni, dai conflitti, un messaggio di unità, di coesione, di pace”.

La scelta di Francesco segue quella recentemente compiuta con il suo viaggio in Kazakistan. Appaiono entrambi viaggi caratterizzati dagli eventi di dialogo interreligioso che li determina più che per una desiderata visita apostolica. Ma poi si nota la presenza come padrone di casa dei due forum che avranno luogo in Bahrein dell’imam di al-Azhar, l’“amico e fratello” Ahmed Tayyeb, imam dell’università islamica di al-Azhar: anche qui qualcuno potrebbe pensare a un gesto d’amicizia e vicinanza nella gravità del contesto internazionale che ormai dura da tempo e non sembra passare.

A mio avviso entrambe queste percezioni non colgono il punto. In queste ore si sta parlando del viaggio del papa in funzione del passato, e il passato per un incontro sulla coesistenza è importante, visto che nel 2011 il Bahrein fu teatro di una delle più odiose repressioni della storia araba recente. L’ex emirato, oggi regno che si definisce “monarchia costituzionale”, ha una vasta maggioranza di abitanti sciiti, ma la famiglia reale è sunnita, sostenuta dall’Arabia Saudita e ostile all’Iran, che in tempo lontani, con la dinastia safavide, aveva annesso l’arcipelago di Bahrein ai territori dell’Impero persiano. Quando la primavera araba arrivò anche a Manama il sottile file del dialogo tra i giovani che, sia sciiti sia sunniti, chiedevano riforme e aperture democratiche, fu presto spezzato da una repressione che quasi subito assunse toni confessionali, discriminatori e vessatori verso gli sciiti. Si arrivò a distruggere il monumento alla perla, sotto il quale si riunivano i manifestanti, come simbolo del male, della sedizione e della divisione.

Un passato del genere non passa soltanto col tempo, ma il presente, in quella regione, qual è? Il presente soffia dall’altra costa de Golfo, dall’Iran, dove da oltre 40 giorni è in corso un qualcosa che non sembra più una semplice protesta, ma molto, molto di più. Chi protesta? Contro chi? Sono giovani sciiti, anche qui, ma iraniani e contro il regime sciita iraniano questa volta. È l’uso politico della religione che viene a galla con il passato, con la storia tremenda della primavera silenziata nel 2011. Ma il presente porta a galla tutt’altro conflitto, quello tra potere totalitario e richiesta libertaria, simboleggiata dalla richiesta delle donne iraniane di liberarsi dall’obbligo asfissiante del velo imposto per legge. La rivolta dei giovani sciiti d’Iran parla anche ai giovani sciiti del Bahrein?

Per rispondere a passato e presente si vede una sola ricetta, una sola possibilità: la cittadinanza. Quella cittadinanza che è al centro del Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi proprio da Francesco e dall’imam di al-Azhar. Quel documento fu in buona sostanza condiviso dall’ayatollah al-Sistani, la massima autorità religiosa del mondo sciita che il papa ha incontrato durante il suo viaggio in Iraq. È la cittadinanza che supera la discriminazione di minoranze e maggioranze confessionali, è la cittadinanza che supera la vessazione della popolazione da sistemi che ripongono la sovranità altrove, non nella volontà popolare.

A guardar bene la stessa, tremenda esperienza Ucraina, ci dimostra che solo una cittadinanza può risolvere in pieno i conflitti di oggi, soprattutto in territori non omogenei, non uniformi o uniformati o colonizzati, ma territori che sono cerniere di un mondo che se li perde è destinato a rompersi.

Così il ricomporsi della coppia Francesco-al Tayyeb sulle coste del tumultuoso Golfo Persico sembra dirci che in Bahrein non andrà in scena un incontro nostalgico dei giorni del loro sorprendente Documento facilmente lodato e dimenticato da molti, ma un suo rilancio in pieno stile, sulla forza della cittadinanza come chiave di volta per i rapporti tra Est e Ovest, tra Oriente e Occidente. E io direi anche in Oriente e in Occidente.

Questo viaggio sin qui poco considerato andrà visto e capito per quanto si troverà il modo di dire da parte dei protagonisti, ma visto così a me sembra assumere una rilevanza molto maggiore di quanto può apparire dalla sua apparenza. Francesco torna al fianco dell’uomo con il quale ha provato a indicare la via per non credere che la primavera araba fosse stata davvero un inverno, come troppo facilmente si è detto sovente, ma che occorreva trovare in entrambi i campi in contrasto, panarabisti e panislamisti, il proprio difetto, che poi è lo stesso: la negata pari cittadinanza.

Oggi accade lo stesso davanti a fratture che appaiono altrettanto gravi e profonde, alle quali solo la cittadinanza può offrire rimedio. Se c’è un rapporto tra passato e presente che può emergere dal viaggio in Bahrein è questo: la riconciliazione è possibile e questa volta potrebbero essere le fedi a farlo capire.


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