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Francesco e al Tayyeb portano il Concilio nell’Islam

Più volte papa Francesco ha detto che per realizzare il Concilio Vaticano II ci vorrà un secolo. E ora il Concilio è arrivato sulle sponde del Golfo. Questa è la realtà di domani. Il commento di Riccardo Cristiano

Più volte papa Francesco ha detto che per realizzare il Concilio Vaticano II ci vorrà un secolo. Non sorprende quindi che, in un momento storico stracolmo di giganteschi fatti di cronaca, l’enormità culturale di quanto accaduto in Bahrein sia sfumata nel racconto globale. Ma si può dire che il c4 novembre a Manama lo spirito del Concilio Vaticano II ha preso a soffiare nell’Islam. Ed è lo spirito del pluralismo, cioè della rinuncia a considerare che chiunque non sia identico o sottomesso a noi stessi sia un traditore, un apostata, un eretico.

Per chi aveva conosciuto le guerre, gli scismi e scomuniche, tra cattolici e ortodossi e poi tra cattolici e protestanti, l’ecumenismo, cioè la ricerca dell’unità dei cristiani nel rispetto e nella valorizzazione delle loro diversità, non nell’ omologazione o annessione, è stato un cambiamento profondo, accompagnato dal dialogo con le altre religioni, riconosciute come portatrici di semi verità. Il dialogo con le altre religioni, offerto da 50anni dalla Chiesa cattolica, si è dunque radicato da tempo anche con l’islam e nel migliore pensiero degli islam. Ma il dialogo intra islamico no, non si era mai formalmente interrotto, ma era inconsistente da secoli.

Poi dagli anni Ottanta, quella che è in corso in Medio Oriente tra arabi e iraniani e loro alleati, è esplosa come una guerra presentata o giustificata come guerra tra sunniti e sciiti, tra le due grandi ali dell’Islam con non riescono proprio a volare insieme, ma contro. Proprio il Bahrein ne è stato l’esempio paradigmatico. Questo regno costituito da un’arcipelago di isole nel cuore del Golfo Persico, è costituito da una vasta maggioranza sciita, una minoranza sunnita, altre presenza di tante religioni e una famiglia reale sunnita alleata da sempre dei sauditi.

Quando nel 2011 i giovani di ogni confessione riempirono l’enorme piazza del monumento alla perla per chiedere insieme libertà e democrazia, dopo un breve tentativo di dialogo, le autorità scelsero la repressione, entrarono mille soldati sauditi e repressione fu. Ma spiegata dicendo che gli sciiti avevano tentato di rovesciare una corona sunnita. Se qualche malintenzionato c’è stato io non lo so, ma sarà stato tale perché filo iraniano, non perché sciita. I giovani sciiti in quei giorni erano insieme ai loro giovani connazionali sunniti. Ora in Bahrein ci sono molti prigionieri politici, frequentemente sciiti, esempio concreto di un muro politico che si copre con i dissidi di fede, con i quali la repressione giustifica anche l’usatissima pena di morte.

E così al forum per il dialogo tra Oriente e Occidente, mentre tornano a soffiare i venti di guerra tra Iran e Arabia Saudita, l’imam di al Azhar e presidente del Consiglio degli anziani dell’Islam, l’uomo con cui Francesco ha firmato nel 2019 il Documento sulla fratellanza, ha deciso di dire esplicitamente che tra sunniti e sciiti deve cessare questo clima di odio e scomuniche, di rifiuti e persecuzioni, di guerra e di negazione: “Rivolgo il mio appello ai miei fratelli, i giuristi musulmani di tutto il mondo, indipendentemente dalle loro sette e scuole, a tenere un dialogo islamico-islamico serio, un dialogo a favore dell’unità, del riavvicinamento, un dialogo per la fratellanza religiosa e umana, in cui si respingono le cause della divisione, della sedizione e del conflitto settario e che si concentra sui punti di accordo e di incontro”.

È questa la vera alternativa ai terroristi che, va aggiunto per chiarezza, siano dell’una o dell’altra parte islamica, si presentano sempre con attentati ai luoghi di culto dell’altro, sunnita o sciita. Al Baghdadi ha cominciato la sua storia di terrorista di terrorista che lo avrebbe porto alla leadership dell’Isis attaccando mosche sciite, Assad ha concluso la sua parabola di criminale di guerra deportando milioni di sunniti dal suo Paese per poi entrare da conquistatore nella moschea della richiesta di libertà, Duma, prima già profanata dai terroristi sunniti. Le parole di Ahmad al Tayyeb, ormai un amico spirituale di Francesco, sono state accompagnate da quattro affermazioni importantissime del papa: il no alla pena di morte pronunciato a palazzo reale, davanti al re, appena arrivato.

Poi l’affermazione, sulle sponde del Golfo degli enormi capitali e flussi di denari leciti e illeciti, che per essere per la pace non basta dire no al terrorismo ma occorre anche impegnarsi per fermare i flussi di denaro che alimentano il terrorismo. Quindi la citazione davanti al Consiglio islamico degli Anziani (inteso nel senso di saggi) del fondatore dello sciismo, Ali. Nel consiglio siede ovviamente anche uno sciita, il libanese Ali al Amin, ma l’indirizzo è chiaramente sunnita e la scelta del papa ha dato sostegno e robustezza al grande passo compiuto da al-Tayyeb,
In definitiva a Manama al Tayyeb e Bergoglio, insieme, hanno dimostrato che le voci che volevano possibile un incontro a tre tra loro e il grande ayatollah al Sistani, l’altro sciismo rispetto ai khomeinisti, quello che credo nel dialogo e rifiuta la teocrazia, era davvero possibile, forse talmente imminente da essere stato fatto deragliare dagli attentati in Iraq ispirati dai khomeinisti.

Ma quello che hanno detto e fatto Francesco e al Tayyeb sulle sponde roventi del Golfo dell’odio, dove mors tua equivale a vita mea perché a un imperialismo religiosamente ispirato corrisponde per forza un opposto imperialismo religiosamente ispirato, l’imperialismo iraniano ammantato di sciismo contro quello saudita ammantato di sunnismo, è qualcosa che lascia sbalorditi. E’ stato possibile per il metodo- Bergoglio, che poi è il metodo del Concilio Vaticano II: non guardare dall’alto in basso il proprio interlocutore, capirne la psiche con fiducia, non con diffidenza.

Quello che fecero Paolo VI e il patriarca ortodosso Atenagora ritirando le reciproche scomuniche tanti decenni fa è diventato possibile con l’Islam e nell’Islam per quella fiducia che Bergoglio ha riposto nel suo interlocutore, che ha posto fine a un’incomprensione che era tra Europa e arabi, tra Occidente colonialista e Oriente conquistatore, non tra cristianesimo e Islam. Ieri a Manama è successo qualcosa che noi possiamo capirne così: è finita le giustificazione religiosa alla Guerra dei Trent’anni che insanguinò l’Europa protestante e quella cattolica. E’ legittimata la pace di Vestfalia orientale, lo stato si separa dalla religione, sovrano diviene il popolo dei cittadini, con tutti i suoi credo, non la confessione. I re capiranno? Difficile sperare che capiscano subito.

Il Concilio, ha detto Francesco, ha bisogno di un secolo per realizzarsi. Sarà vero anche in Oriente. Ma da ieri il re è nudo, arabi e iraniani lo hanno visto, nudo, li hanno visti tutti nudi dietro i marmi sontuosi del Palazzo reale di Manama. Al Tayyeb come Paolo VI voleva abbracciare il suo Atenagora, l’ayatollah al Sistani. Le milizie lo hanno impedito. Ma Francesco gli ha dato la tribuna globale per annunciare il suo abbraccio impedito. Si può fingere di non aver capito, si può restare scettici e fare spallucce, si può restare distratti dalla cronaca e non vedere la storia, che certo ha bisogno di tempo, ma non si possono chiudere gli occhi e cancellare i fatti, le parole, i gesti che hanno certamente aperto, avviato un nuovo cammino.

Poi sta a noi, sta a loro, procedere. Il Concilio è arrivato sulle sponde del Golfo, questa è la realtà di domani. Per capirlo bene serve forse rileggere cosa ha detto ai dotti dell’Islam il prefetto del dicastero vaticano per il dialogo, cardinale Ayuso: “L’interconnessione e l’Interdipendenza degli esseri umani degli esseri umani e della natura invitano ognuno ad andare oltre le differenze di classe, credo, razza o cultura, a collaborare per proteggere la salute della casa della famiglia umana, ora e per le generazioni future, La religione ci pò aiutare a fare un primo passo verso il cambiamento collettivo.” Come diceva il grane mistico musulmano Jalal al Din Rumi, i sentieri sono diversi, ma la vetta è una.

(Foto dal profilo Twitter di Antonio Spadaro)


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