A nove mesi dall’inizio della guerra papa Francesco ha scritto una lettera al popolo ucraino. Un passo che nessun altro capo di Stato ha compiuto e che lui ha fatto quale vescovo di Roma, firmando infatti da San Giovanni in Laterano, non dal Vaticano. Dunque è l’autorità morale, spirituale, religiosa, che si è rivolta a tutti gli ucraini, affermando subito che “il vostro dolore è il mio dolore”.
Se c’è una cosa che nessuno discuterà, sia un sostenitore o un detrattore di questo pontefice, è che lui mai è stato né è voluto apparire “il cappellano dell’Occidente”. La sua è, programmaticamente e chiaramente, una Chiesa integralmente universale. Ma la cura, l’attenzione, la costante preoccupazione di non identificare la Chiesa cattolica con l’Occidente, non può impedire di stare dalla parte delle vittime. E così, nel momento drammatico che il conflitto vive, il papa scrive: “Nel vostro cielo rimbombano senza sosta il fragore sinistro delle esplosioni e il suono inquietante delle sirene. Le vostre città sono martellate dalle bombe mentre piogge di missili provocano morte, distruzione e dolore, fame, sete e freddo”. Sete e freddo sono evidenti ed espliciti riferimenti agli accadimenti incredibili di queste ore, alla sistematica distruzione delle centrali elettriche. E poi aggiunge: “Nella croce di Gesù oggi vedo voi, voi che soffrite il terrore scatenato da questa aggressione”. Dunque; l’aggressione ha scatenato il terrore. “Sì, la croce che ha torturato il Signore rivive nelle torture rinvenute sui cadaveri, nelle fosse comuni scoperte in varie città, in quelle e in tante altre immagini cruente che ci sono entrate nell’anima, che fanno levare un grido: perché? Come possono degli uomini trattare così altri uomini?”.
Francesco parla di storie, fa i nomi di piccole vittime: cita Kira di Odessa, come Lisa a Vinnytsia, e “centinaia di altri bimbi: in ciascuno di loro è sconfitta l’umanità intera”. Poi ricorda i deportati. Il dolore delle madri ucraine. E arriva ai giovani, “che per difendere coraggiosamente la patria avete dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni che avevate coltivato per il futuro; penso a voi, mogli, che avete perso i vostri mariti e mordendo le labbra continuate nel silenzio, con dignità e determinazione, a fare ogni sacrificio per i vostri figli; a voi, adulti, che cercate in ogni modo di proteggere i vostri cari; a voi, anziani, che invece di trascorrere un sereno tramonto siete stati gettati nella tenebrosa notte della guerra; a voi, donne che avete subito violenze e portate grandi pesi nel cuore; a tutti voi, feriti nell’anima e nel corpo. Vi penso e vi sono vicino con affetto e con ammirazione per come affrontate prove così dure”.
Il riferimento sul quale chiunque oggi è chiamato a riflettere in piena onestà e coscienza è quello alla croce di Gesù, nella quale afferma di vedere loro, gli ucraini. E quindi ammirare anche la sollecitazione, importantissima, alla lungimiranza per la pace, che è chiaramente una bussola che richiama da tempo: “penso ai profughi e agli sfollati interni, che si trovano lontano dalle loro abitazioni, molte delle quali distrutte; e alle Autorità, per le quali prego: su di loro incombe il dovere di governare il Paese in tempi tragici e di prendere decisioni lungimiranti per la pace e per sviluppare l’economia durante la distruzione di tante infrastrutture vitali, in città come nelle campagne”. Il papa ricorda quanto accadde esattamente novant’anni fa ai kulaki ucraini, vittime dello stalinismo: “Cari fratelli e sorelle, in tutto questo mare di male e di dolore – a novant’anni dal terribile genocidio dell’Holodomor –, sono ammirato del vostro buon ardore. Pur nell’immane tragedia che sta subendo, il popolo ucraino non si è mai scoraggiato o abbandonato alla commiserazione. Il mondo ha riconosciuto un popolo audace e forte, un popolo che soffre e prega, piange e lotta, resiste e spera: un popolo nobile e martire. Io continuo a starvi vicino, con il cuore e con la preghiera, con la premura umanitaria, perché vi sentiate accompagnati, perché non ci si abitui alla guerra, perché non siate lasciati soli oggi e soprattutto domani, quando verrà forse la tentazione di dimenticare le vostre sofferenze”.
Molto si è detto su questo pontificato e la guerra, a volte lodando a volte criticando, in modo proprio ed a volte in modo improprio: forse queste però sono le parole più importanti pronunciate tra le tante di coloro che a livello planetario si confrontano o si esprimono su questa tragedia da mesi. E che danno anche a chi sia prioritariamente attento ad altro l’esatta dimensione di cosa stia accadendo.