Il docente di Storia del cristianesimo: “Sul tema delle migrazioni ci si è sempre approcciati con propagande pantofolaie di opposto segno. La visione prospettata dal papa è quella di una politica migratoria che si ponga come obiettivo un rafforzamento delle relazioni del nostro Paese in Europa”
Di ritorno dal Bahrein, papa Francesco è tornato a parlare. Scandendo concetti chiari, facendo capire ancora una volta che il tema dei migranti non può che essere centrale. Ma, in qualche modo, ammonendo che dell’accoglienza non si può far carico solo l’Italia. “È necessaria una politica di collaborazione europea”, ha detto il pontefice augurando al nuovo governo “il meglio perché possa portare avanti l’Italia”. Sono parole importanti, per le quali il premier in persona ha ringraziato il Santo padre. “Il primo monito che il papa ha lanciato è proprio a Giorgia Meloni e al suo governo: il tema migranti non si affronta battendo i pugni sul tavolo, ma rafforzando la posizione dell’Italia in Europa”. Ne è convinto Alberto Melloni, ordinario di storia del Cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia, tra i massimi esperti di Concilio Vaticano II e rapporti tra cristianesimo e politica.
Melloni, il messaggio lanciato da papa Francesco ha toni piuttosto netti. Non trova?
Mi pare che le parole del pontefice richiamino la posizione che la Chiesa, sotto la sua guida, ha espresso in questi anni in tema di migranti e accoglienza. Ricordo che il suo primo atto, una volta eletto al soglio, fu quello di lanciare una corona funebre nel mare di Lampedusa. I contenuti che veicola il papa sono inconfutabili: alla Chiesa interessano le vite di tutti.
Perché sostiene che le parole del papa siano una raccomandazione e un monito prima di tutto a Giorgia Meloni?
Perché sul tema delle migrazioni ci si è sempre approcciati con propagande pantofolaie di opposto segno. Invece, la visione prospettata dal papa è quella di una politica migratoria che si ponga come obiettivo un rafforzamento delle relazioni del nostro Paese in Europa. In più, c’è un tema di ordine politico.
Ovvero?
Il partito che esprime il capo del governo che, beninteso, ha tutta la legittimità per governare, non ha fatto un pienone di voti. FdI ha preso appena sei milioni di voti. L’Msi ne prendeva quattro milioni. Per cui credo che ogni qualvolta che il papa dovesse fare delle osservazioni (anche non lusinghiere), il governo comunque ringrazierà.
Un modo per trovare una legittimazione?
Ci sarà un atteggiamento ambivalente. Da una parte un tentativo di non “spaventare” una larga fetta di elettorato che non rappresenta lo zoccolo duro del centrodestra ma che magari ha voluto dare fiducia a questa nuova maggioranza. Dall’altra Meloni dovrà dare, come nel caso Piantedosi, qualcosa di “palatabile” al suo elettorato di riferimento.
Secondo lei come interverrà il papa?
Il pontefice si trova in una situazione di difficoltà perché per la prima volta dopo diverso tempo c’è un governo che ha una forte connotazione politica. Per il Vaticano i governi tecnici erano perfetti: andavano bene a tutti, perché non avrebbero dovuto andar bene al papa? Comunque, ritengo che Francesco manterrà i suoi temi e continuerà nel solco di quelli che sono stati i punti cruciali del suo pontificato fino a oggi.
Dopo tanto tempo, Francesco torna a parlare. E lo fa in questi termini. Perché proprio ora?
C’è stata una transizione importante nella Cei. Diverse opzioni erano sul tavolo: alla fine ha prevalso Zuppi, che sta cercando di ricostruire una comunità lacerata da profonde divisioni interne all’episcopato. Il cardinale bolognese sta imprimendo una nuova linea all’interno della Conferenza. La ricostruzione di una comunità.