L’ex viceministro dell’Economia e già presidente della commissione Bilancio del Senato: basta con i trucchetti per andare in pensione in anticipo, se si vuole tenere in piedi il sistema pensionistico e disinnescare la mina inflazione bisogna aumentare la partecipazione al lavoro delle donne e dei giovani, aumentando la platea dei contributi. E comunque la legge Fornero aveva una sua ragione
Evitare a tutti i costi il burrone della legge Fornero. Questo, senza il rischio di incorrere in malintesi, l’obiettivo dichiarato del governo di Giorgia Meloni. Perché nella logica dell’esecutivo i cinque anni, tanto sarebbe lungo lo scalone che si verrebbe a creare con la scadenza delle opzioni oggi in essere (Quota 101 e Ape social) per andare in pensione in anticipo a 62 anni e il collaterale ritorno ai fatidici 67 anni di anzianità, rappresentano un salto nel buio oltre al mancato mantenimento di una promessa elettorale. Di qui lo studio dell’ennesima deroga alle regole poste in essere con la legge del 2012. Il progetto prevede dal primo gennaio 2023 l’uscita dal mondo del lavoro con 62 anni d’età e 41 di versamenti. Di fatto questo strumento che potremmo chiamare Quota 103, prende il posto dell’attuale Quota 102, che consente il pensionamento con 64 anni e 38 di contribuzione. Un canale di uscita si affiancherà all’Ape sociale e a Opzione donna, che verranno prorogate ancora una volta e e alle vie di pensionamento ordinarie.
Ma c’è un altro problema, forse ben più grave, che risponde al nome di inflazione. A partire da gennaio 2023 è previsto un adeguamento pari a +7,3% delle pensioni, per consentire agli assegni di stare al passo con il costo della vita, che in Italia si è portato all’11,8%. Questo, nei prossimi tre anni, dovrebbe tradursi in una maggiore spesa per le casse pubbliche pari a 50 miliardi. E se l’inflazione non frenerà, alla luce dell’invecchiamento della popolazione e del conseguente aumento della spesa pensionistica, unito al fatto che il precariato non consente il versamento dei contributi, va da se che il sistema previdenziale rischia di finire in una tempesta perfetta. E allora, che fare? Formiche.net ne ha parlato con Enrico Morando, ex viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni e già presidente della commissione Bilancio al Senato.
“Facciamo una premessa, le tendenze demografiche del Paese sono chiare e non lo scopriamo oggi. Appare piuttosto evidente, peraltro, che le possibilità per tenere in piedi sono essenzialmente due”, premette Morando. “La prima è quella di compiere scelte che sul terreno fiscale puntino ad aumentare la partecipazione delle donne alla forza lavoro. Credo che sia arrivato il momento di aprire maggiormente il mercato del lavoro alle donne, non solo come atto di giustizia e di civiltà storica ma anche come scelta concreta per compensare e bilanciare un sistema pensionistico. Il secondo suggerimento è quello di stare lontani da provvedimenti suicidi come quelli ai quali stiamo assistendo, per esempio Quota 100 e annessi e connessi. Sono anni che tutti i Documenti di economia e finanza raccontano come la Ragioneria dello Stato calcoli nel medio e lungo termine l’andamento demografico. Invitando implicitamente l’esecutivo ad evitare avventure e alchimie che mettano in discussione il principio contributivo”.
Insomma, “bisogna agire sulla forza lavoro, ampliando la platea con un ingresso delle donne in modo strutturale. Ma anche dei giovani, che oggi se ne vanno all’estero. Se i giovani entrano nel mercato del lavoro, il sistema previdenziale ne beneficia perché ci sono delle nuove entrate, sotto forma di contributi. Questa è la vera riforma, questo bisogna fare e non cercare a tutti i costi di andare in pensione prima. Ovviamente escludendo i lavori usuranti, per i quali è giusto e necessario lasciare in anticipo il lavoro. Ora, se noi mettiamo a sistema tutto questo, ecco che prende forma una riforma che permette al sistema di essere messo in sicurezza. Donne e giovani sono la chiave di volta per la previdenza italiana, su questo non ci piove”.
Non è tutto. “La legge Fornero, questo va detto, risolse un problema. E cioè non permettere follie dal lato dell’anticipazione per persone che possono ancora lavorare. So che sembro brutale, ma è così. Aveva un senso quella legge. Ma oggi la via maestra è ampliare la platea dei contributi, perché se posso ancora lavorare ha poco senso che vada in pensione prima. Ma se voglio salvare il sistema pensionistico, garantendo quelle entrate che possono bilanciare la spesa maggiorata per l’inflazione, allora debbo agire sul lato dei contributi. Il resto è fuffa”.