Il nuovo stop del Tar ai lavori per lo snodo ferroviario di Bari, finanziati dall’Europa, getta un’ombra ancora più lunga sul futuro del Recovery Plan italiano. Investimenti, posti di lavoro e Pil sono in balìa di una giustizia non sempre sintonizzata con il progresso. Non c’è una cura, ma qualcosa si può fare…
La burocrazia italiana, in tutte le sue forme, sa essere micidiale quando ci sono di mezzo gli investimenti, che di solito fanno rima con Pil, crescita. E lo stesso vale per la giustizia, quella locale, legata al territorio, amministrativa, sempre in agguato. C’è un caso che arriva dalla Puglia, uno dei tanti visti in questi anni lungo l’asse Salento-Val di Susa, alias Tap e Tv. E che, se moltiplicato per dieci, rischia di dare vita a un maelstrom buro-legale in grado di inghiottire l’intero Pnrr nazionale.
Antefatto. A Bari l’Alta velocità ferroviaria potrebbe non arrivare. Perché i lavori per la realizzazione della nuova linea sono stati bloccati dal Tar della Puglia, il quale ha sospeso l’autorizzazione paesaggistica data dalla Regione per il progetto della nuova rete ferroviaria nella zona di Lama San Giorgio, a sud del capoluogo pugliese. L’opera che prevede il raddoppio dei binari per 10 chilometri e la successiva variante di un tratto della strada statale 16, rientra nell’ambito del più ampio progetto del Nodo ferroviario di Bari. Progetto, ed ecco il problema, finanziato anche coi fondi del Pnrr, prima opera realizzata in Italia con le risorse dell’Ue. Ma che ora è a rischio e con essa anche i 205 milioni di euro assegnati su un totale di 406 milioni.
Ora, c’è chi ha già lanciato l’allarme, a buona ragione. Perché il precedente è di quelli pericolosi, che possono fare scuola (il problema, a quanto pare, sarebbe la messa a rischio di ulivi e carrubi secolari). L’Italia conosce bene l’isteria da Nimby, ci sono fior di opere finanziate con soldi pubblici o con fondi strutturali europei, rimaste imbrigliate in ricorsi promossi da comitati contro questo o quel ponte, diga, strada, ferrovia. E magari con qualche pagamento alle ditte appaltatrici, che però hanno fermato le ruspe prima ancora di scavare il primo buco. In un’intervista al Foglio il viceministro ai Trasporti, Galeazzo Bignami, non l’ha toccata piano e forse non poteva fare diversamente. Il messaggio è chiaro, tra Bruxelles e le opere, c’è una terra di mezzo in cui è facile impantanarsi. E quella terra di mezzo sono i Tribunali amministrativi regionali.
“Con questa logica qualsiasi opera è a rischio, così si mette in pericolo l’intera struttura del Pnrr nel nostro Paese”. La logica allarmante che, dice rischia di far saltare il banco del Pnrr, è quella contenuta nelle 55 pagine della sentenza del Tar della Puglia che mercoledì ha accolto il ricorso di alcuni cittadini e di un comitato ambientalista per l’annullamento della delibera regionale che ha autorizzato il nuovo nodo ferroviario poc’anzi menzionato. Il primo stop da parte di un tribunale di un’opera finanziata dal piano europeo. E pensare che lo stesso governo di Mario Draghi era già intervenuto sulla questione, già a luglio, con un apposito decreto per accorciare i tempi dei processi legati a simili ricorsi.
Allora, la domanda sorge spontanea. Non si può pensare di giocarsi oltre 200 miliardi di euro, tanti sono i fondi destinati all’Italia dall’Ue, via Pnrr, nei tribunali italiani. Anche perché l’Europa è vigile e se un tot di opere non è realizzata entro una certa data, i rubinetti si chiudono. E l’Italia rimane a secco, di infrastrutture, di posti di lavoro e di Pil.
Come uscirne? Come evitare di fermare il futuro per sentenza? Difficile dirlo. Una strada maestra non c’è e forse non ci sarà mai, per il semplice fatto che è, Costituzione alla mano, tecnicamente impossibile impedire a un territorio di rivolgersi alla giustizia per fermare un’opera. E allora, ci possono essere due medicine. La prima è accorciare i tempi in modo sensibile tra la sentenza del Tar e il giudizio del Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa. In questo modo, a prescindere dall’esito della decisione, si tiene meno sospesa l’opera e l’indotto che vi gravita intorno.
Poi c’è la seconda soluzione, forse più concreta. E cioè la negoziazione con il territorio. Ovvero l’istituzione di apposite camere di compensazione, un po’ come accade nella finanza, per discutere con i rappresentanti dei territori circa la realizzazione di un’opera, onde prevenire liti future e incagli legali. Insomma, evitare blocchi a monte, attraverso un accordo tra Stato e autorità locali. Di più, non è possibile fare. Ora, tornando al caso pugliese, tutto sarà nelle mani del Consiglio di Stato, proprio come già accaduto in estate, quando lo stesso ha dato ragione a Rfi e Regione disponendo la ripresa dei lavori dopo la prima sospensione dell’autorizzazione in via cautelare. Da parte del Tar. Si tratterà comunque di una corsa contro il tempo: la sentenza potrebbe arrivare non prima di 3-4 mesi. Ma la crescita, quella no, non aspetta.