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Cosa significa la visita di Stoltenberg per Meloni. L’analisi di Minuto-Rizzo

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg si è incontrato con Giorgia Meloni, un momento per riflettere sui temi principali che legano l’Italia all’Alleanza: guerra in Ucraina, Difesa europea, fianco sud, Cina. Il governo ha bisogno di costruire una propria immagine internazionale, di affidabilità e solidità, e questa occasione sicuramente aiuta la premier

La visita a Roma del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in occasione della conferenza dell’Alleanza sulla difesa cibernetica, è stata anche l’opportunità per incontrare per la prima volta il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Un’occasione che ha permesso un confronto sui principali temi nella relazione tra il nostro Paese e la Nato, dall’equilibrio della Difesa europea all’interno dell’architettura atlantica all’attenzione per il fianco sud. Airpress ha raccolto il commento dell’ambasciatore Alessandro Minuto-Rizzo, presidente della Nato defense college foundation e già vicesegretario dell’Alleanza Atlantica.

Ambasciatore, come commenta il primo incontro tra il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg?

Come prima cosa dobbiamo dire che il segretario generale è venuto a Roma per partecipare al convegno sulla cybersecurity della Nato, al quale hanno partecipato diversi ambasciatori dell’Alleanza Atlantica. Il segretario generale ne ha sicuramente approfittato per vedere anche il nuovo presidente del Consiglio. Già questo è un dato interessante, perché è comunque lui a venire a Roma e non l’inverso. La recente visita di Giorgia Meloni a Bruxelles, infatti, è stata incentrata sulle istituzioni europee. Questo è, se vogliamo, un primo segnale interessante. Come secondo elemento possiamo registrare come sicuramente l’Italia sia guardata con curiosità da Stoltenberg.

In che senso?

L’Italia è un Paese particolare, membro fondatore della Nato che ha sempre partecipato in maniera sostanziale a tutte le operazioni dell’Alleanza e che ha sempre avuto tutte le carte in regole. E tuttavia è un Paese che non ha mai battuto i pugni sul tavolo, avendo sempre seguito la linea atlantica, senza che in passato si siano profilate grandi iniziative di marca italiana. Un buon alleato, in sostanza. Ora c’è questo nuovo governo di destra, che è stato venduto abbastanza male in giro per il mondo, e di conseguenza la visita del segretario generale serve sicuramente anche per capire in che direzione volgiamo andare. C’è da aggiungere che Fratelli d’Italia ha sempre storicamente mantenuto una posizione atlantica, e di conseguenza il presidente del Consiglio non dovrà sforzarsi per convincere Stoltenberg del mantenimento della linea atlantista del nostro Paese.

Tra i principali dossier in questo momento sul tavolo c’è la relazione tra il progetto di Difesa europea e l’architettura della Nato. Come pensa sia stato affrontato il tema?

La Difesa europea è sicuramente un qualcosa che dobbiamo perseguire, perché è giusto farlo e perché completa la dimensione europea. Secondo me non c’è una possibilità di difesa europea autonoma, e lo vediamo tutti i giorni. Si sta rafforzando, si sta lavorando in quella direzione, però a mio parere la convenienza dell’Italia è quella di appoggiare una rafforzata dimensione europea all’interno di una alleanza transatlantica. Dobbiamo lavorare di più insieme agli americani, diciamo così.

Su questo, l’Italia è stato sempre un paese tradizionalmente amico degli Stati Uniti, e di recente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ricevuto l’apprezzamento da parte del segretario della Difesa Usa, Lloyd Austin. Come può evolvere questa relazione?

Noi abbiamo tradizionalmente un ottimo rapporto con la difesa americana, al di là di tutti i governi. Abbiamo rapporti storici e, se vogliamo andare alla storia remota, quando è nato il Patto Atlantico, l’Italia era a pezzi e sono stati gli americani ad aiutarci a rimettere in piedi le Forze armate italiane. Questo rapporto è una cosa che possiamo far valere. Per fare un esempio, all’epoca delle crisi nei Balcani, in Kosovo, in Albania, gli americani chiesero all’Italia di occuparsi di questo quadrante, un riconoscimento che gli Usa non avrebbero potuto occuparsi di tutto e un grande un segno di fiducia nei nostri confronti.

Una prospettiva che può ripetersi oggi, con gli Usa più orientati verso la Cina e, forse, verso l’interno, visto l’esito delle elezioni di midterm?

C’è un tema di fondo, storicamente negli ultimi trent’anni ci si è sempre rivolti agli americani per tutto, e in America c’è una tendenza che vuole intervenire là dove ci sono dei forti interessi nazionali e per il resto lasciare che se ne occupino gli alleati. Una prospettiva che mi sembra anche ragionevole. Quello che voglio dire è che non dobbiamo sempre aspettare che gli Usa ci dicano cosa fare. Siamo in un quadro di alleanza e ritengo che come europei possiamo benissimo prendere delle iniziative, purché all’interno del quadro Nato. Credo, tra l’altro, che sarebbe anche apprezzato da Washington.

Tema importante nella relazione tra l’Italia e la Nato e l’attenzione da rivolgere al fianco sud della Nato, una questione centrale per il nostro Paese…

Questo sicuramente è stato un tema dell’incontro tra Meloni e Stoltenberg, perché la Nato occupandosi così tanto dell’est finisce per perdere il sud, e questa è una cosa che va evitata assolutamente. Però credo che da parte italiana bisognerà essere più propositivi e non solo ricordare l’importanza del sud, ma anche spingere per rivitalizzare i due partenariati regionali della Nato, il Mediterranean dialogue con sette Paesi rivieraschi, e la Istanbul cooperation initiative per il Medio oriente e i Paesi del Golfo. Partenariati molto importanti che sono un po’ dimenticati. C’è una pressione dai Paesi dell’est Europa preoccupati della Russia, com’è comprensibile, però un’alleanza tutta orientata a est e a nord, con l’ingresso di Svezia e Finlandia, non va bene. Anzi, proprio l’allargamento settentrionale ci dovrebbe obbligare a essere ancora più propositivi a sud.

L’anno prossimo scade il mandato di Jens Stoltenberg.

È un’occasione unica per l’Italia. Dal 2008 a oggi abbiamo avuto due segretari generali scandinavi, uno danese e uno norvegese. Al 2023 saranno quindici anni a guida scandinava. È assolutamente fisiologico che adesso tocchi a un segretario generale del sud. Io non prevedo candidature di greci, turchi o spagnoli, e l’Italia è un Paese che può aspirare naturalmente a questa carica. Abbiamo avuto un segretario generale, molto apprezzato, Manlio Brosio, che però ha terminato il suo mandato nel 1971. Sono passati oltre cinquant’anni. Io mi auguro veramente che la politica italiana colga questa occasione. Tra l’altro la Nato è diventata molto più importante che in passato. Un po’ per scelta un po’ per necessità è diventata l’alleanza politica di riferimento dell’Occidente. Chi sarà il nuovo segretario generale avrà un punto di vista straordinario, e un italiano potrebbe essere una spalla importante per il nostro Paese. Io credo che l’Italia farebbe un enorme errore strategico nel non candidarsi. Tra l’altro ritengo che potrebbe essere una candidatura coronata dal successo, perché potremmo contare sull’appoggio dei francesi e soprattutto degli americani, con cui tra l’altro abbiamo un piccolo credito quando, a suo tempo, non supportarono la candidatura di Franco Frattini. Gli inglesi non vanno bene perché non sono membri dell’Ue. È assolutamente il momento di un italiano, e guai a perdere l’attimo.



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