Skip to main content

Chi ci guadagna dallo stop alla privatizzazione del porto greco di Alexandroupolis

L’equilibrio geopolitico e la sicurezza energetica legata ai flussi di gas ne risentirebbero, con il rischio di una possibile destabilizzazione da parte di player esterni, sia in seno al governo che alle infrastrutture sensibili come questa

Lo stop alla privatizzazione del porto greco di Alexandroupolis è un elemento di destabilizzazione nel quadro della geopolitica mediterranea, non fosse altro perché giunge in un momento in cui la partita era stata indirizzata su un cronoprogramma certo. La gara è stata annullata per motivi ufficialmente geostrategici, ma l’avvicinarsi delle elezioni politiche in Grecia (maggio 2023) aggiunge nebbia alla cosa, senza dimenticare la tentazione dei super players esterni di inserirsi nella dinamica esistente, visto che a quelle latitudini l’intreccio fra gas, gasdotti e interessi internazionali è un elemento oggettivo.

Porto strategico

Perché quel porto è così strategico? Per due ragioni, una di fondo e tecnica, e una logistica e di contesto. Alexandroupolis funge da base di rifornimento per le forze Nato in tutta l’Europa orientale e fa parte della cooperazione di mutua difesa greco-americana. Da lì le truppe possono risalire tutto il confine europeo orientale, tramite la via Carpatia, arrivando in Lituania: passaggio niente affatto secondario, soprattutto all’indomani della guerra in Ucraina. Inoltre l’area del porto è interessata dal passaggio del gasdotto Tap, dell’interconnettore ellino-bulgaro ed è perno delle nuove strategie legate all’approvvigionamento energetico per via dei due depositi di gas, presenti ad Alexandroupolis e nel vicino porto di Kavala, anch’esso interessato dalla privatizzazione.

Due soggetti hanno presentato offerte per il porto: Quintana Infrastructure & Development; e il consorzio di Black Summit Financial, Euroports, Efa Group e Gek Terna. Inoltre Alexandroupolis rappresenta di fatto la riequilibratura delle privatizzazioni di Pireo e Salonicco: il primo, come è noto, è finito nelle mani dei cinesi di Cosco, il secondo è controllato da un consorzio ellino-tedesco ma guidato dall’oligarca greco russo Ivan Savvidis, già deputato alla Duma nel partito di Putin e proprietario del canale televisivo Open, oltre che della squadra di calcio del Paok Salonicco.

Facile immaginare come il ruolo di Alexandroupolis sia assolutamente rilevante dal punto di vista delle strategie atlantiche in loco, anche per rintuzzare le intromissioni esterne. Ne risentirebbe l’equilibrio geopolitico dell’intera area, oltre che la sicurezza energetica legata ai flussi di gas, con il rischio di una possibile destabilizzazione da parte di players esterni, sia in seno al governo che alle infrastrutture sensibili come questa.

Qui Atene

Si avvicinano le elezioni politiche in Grecia e nella maggioranza conservatrice potrebbe verificarsi una spaccatura: i filo tedeschi del premier Mitsotakis e i filo americani del ministro degli esteri Dendias. Va ricordato che il nuovo legame ellino-americano prende spunto dal memorandum ideato e siglato dall’ex segretario di stato Usa, Mike Pompeo, nel 2019 che ha concesso agli Usa l’uso di quattro basi su suolo greco e alla Grecia la possibilità di essere “bacino di carenaggio” per la sesta flotta americana. Due cantieri navali, Siros e Skaramangas stanno tornando in auge, dopo la chiusura negli anni della crisi economica ellenica. Inoltre l’oligarga greco Vaghelis Marinakis ha da alcuni anni dato vita ad una partnership con la famiglia di Wilbur Ross, già Segretario americano al commercio nell’ultimo governo Trump, con cui ha costituito la terza compagnia più grande al mondo di navi gasiere.

Energia

Negli ultimi tre anni la Grecia ha messo nel mirino un obiettivo ambizioso: diventare l’hub energetico di prima prossimità nel Mediterraneo, non solo sfruttando la presenza di Tap e Igb, ma le ingenti risorse presenti nel Mare Nostrum, nella consapevolezza che le nuove scoperte di Mercury, Kronos, Zohr, Nohr per giungere in Europa dovranno transitare (via tubo o con scali da rigassificatori) proprio dalla Grecia. Per questa ragione ha investito massicciamente in una serie di relazioni internazionali con i maggiori players, come dimostra la presenza nelle acque greche e cipriote di consorzi composti da colossi del calibro di Exxon, Bp, Total, Eni.

Inoltre Atene intende diventare nuovo esportatore di energia verde, in tandem con Il Cairo per nuove infrastrutture di rinnovabili e collegamenti con l’Africa. In sostanza punta a giocare la carta gas accanto a quella dell’elettricità verde da inviare in Europa centrale.

Con Il Cairo è in piedi un cavo da 3 gigawatt che collegherà l’Africa alla Grecia e, naturalmente, per avere un cavo da 3 gigawatt, sono necessari 10 gigawatt di rinnovabili installate. L’elettrico si somma al gas, con la Fsru di Alexandroupolis (rigassificatore) e la possibilità che in attesa di una decisione definitiva sul gasdotto Eastmed, il gas presente nel Mediterraneo orientale venga smistato da Israele, Egitto, Cipro e Grecia con navi galleggianti.

@FDepalo


×

Iscriviti alla newsletter