“Il Kosovo non ha i 2/3 dell’Assemblea generale dell’Onu che lo riconoscano e chiaramente serbi, russi e cinesi premono in modo contrario, esattamente come Cipro Nord, come l’Ossezia, come le quattro province in Ucraina, come Gaza. Per dire che se il confine non è stato cambiato in modo consensuale non verrà poi riconosciuto: questa è la cifra del blocco del dialogo e della normalizzazione tra Pristina e Belgrado”. Conversazione con il direttore della Nato Defense College Foundation
Oltre all’Ucraina c’è un problema nei Balcani, ammette a Formiche.net Alessandro Politi, direttore del Nato Defense College Foundation. In Kosovo ci sono state le dimissioni di tutto il personale serbo, come deputati, giudici, poliziotti che hanno abbandonato il loro incarico. In diecimila hanno protestato per le strade kosovare di Mitrovica, urlando “siamo serbi”.
Il nodo, apparente, è quello legato al caso delle targhe automobilistiche, che ha stimolato non poco gli antagonismi serbo-kosovari, ma andando più a fondo c’è da un lato il rifiuto della Serbia di riconoscere l’indipendenza del Kosovo e dall’altro la pressione esterna di Russia e Cina per creare tensioni anche con Ue e Nato. Va osservato che l’unico ente che continua costantemente ad occuparsi di Balcani è la Nato Defense College Foundation.
Il progetto europeo di allargamento è messo in pericolo dalla crisi serbo-kosovara?
Come al solito i russi sono specialisti nel creare caos a basso prezzo nei Balcani, anche se non ci rimetteranno praticamente piede, visto che ormai sono fuori dal gioco da un bel po’. Ma, come dire, usano tutte le opportunità per creare problemi, sia all’Europa che alla Nato. La presenza della Kfor, che conosco bene, serve proprio ad evitare che le cose si mettano male e occuparsi della sicurezza del Kosovo qualora la polizia non ce la facesse. In realtà i problemi maggiori sono al nord, quando i serbi del nord alzano le barricate e chiudono le strade. Insomma, in genere è un ambiente di questo tipo che però non esclude l’uso delle armi da fuoco da parte dei kosovari serbofoni. Nessuno vuole usare armi da fuoco, perché significherebbe tornare indietro ai pesantissimi disordini del 2004, ma di contro nessuno può escludere a priori questo tipo d’incidenti.
Il mancato riconoscimento del Kosovo quanto incide?
Il Kosovo non ha i 2/3 dell’Assemblea generale dell’Onu che lo riconoscano e chiaramente serbi, russi e cinesi premono in modo contrario. Quindi non c’è storia. Per ora il Kosovo è esattamente non riconosciuto come Cipro Nord, l’Ossezia, le quattro province in Ucraina, come le annessioni nei territori palestinesi occupati. Come dire che se il confine non è stato cambiato in modo consensuale non verrà poi riconosciuto: questa è la cifra del blocco del dialogo di normalizzazione tra Pristina e Belgrado.
Cosa sta facendo la Kfor?
Sta lavorando alacremente per prevenire incidenti peggiori, cioè molto di più di quel che gli americani chiamano deterrenza. Gli italiani sul punto sono molto bravi, per questa ragione è una fortuna che ci sia un comandante italiano come il Generale Ristuccia, che sa dove mettere le mani, perché viene da un Paese politicamente complicato ed ha un valido supporto politico. La collaborazione militare con i serbi funziona in modo estremamente professionale, cioè non ci sono mai state violazioni da nessuna parte del confine. C’era anche una zona smilitarizzata, in cui la Kfor può arrivare fino a un certo punto. Insomma, alla fine sembra quasi un gioco delle parti condotto in modo estremamente responsabile. Nessuno vuole creare tensioni con i serbi. I serbi quando mostrano i muscoli sanno benissimo che ci sono quattro Paesi dell’Alleanza che non riconoscono il Kosovo perché hanno dei problemi interni, di frontiere, di minoranze. La Spagna è un classico, la Grecia è un altro classico, come Slovacchia e Romania: ovvero ci sono elementi che non permettono a questi quattro Paesi di riconoscere il Kosovo e quindi ogni collaborazione approfondita tra la Kosovo Security Force, la Nato e le istituzioni di Pristina va negoziata a fondo.
Il problema delle targhe è solo l’occasione per aumentare la tensione?
È un problema datato, risalente almeno a prima del 2016: è evidente che la questione targhe non è semplicemente simbolica, è una questione di sovranità: cioè come ormai i kosovari controllano al meglio che possono con elementi serbo kosovari della polizia i passaggi di confine, così deve avvenire per le targhe. Tutti gli altri partiti serbi alternativi, sono stati sconfitti elettoralmente e qualche volta i loro capi politici sono stati assassinati. Adesso, per esempio, venti serbo kosovari hanno cambiato targa e tre auto sono state incendiate in modo mafioso. La Kosovo Security Force voleva aumentare il numero dei serbo kosovari per far vedere che era una vera forza di sicurezza nazionale. E a un certo momento qualcuno ha buttato una granata nel giardino di uno di questi soldati. Nessuno è morto, ma chiaramente l’avvertimento è pesante.
A parte l’importazione di cibo, quale è il nodo dei dazi?
In realtà per il cibo, i carichi di grano, di biscotti di pane non ci sono problemi perché arrivano regolarmente dal nord, cioè dalla Serbia. Però i kosovari hanno un’economia discretamente disastrata, un po’ più della Serbia e sono entrambi paesi insostenibili. La collaborazione tra le due mafie principali Mitrovica Nord e Mitrovica Sud, la serbofona e l’albanofona, è invece perfetta. E la presenza delle mafie è ben documentata del governo serbo. Il vero problema è che per arrivare ad accordi di normalizzazione le istituzioni di Pristina devono riconoscere la formazione di una comunità o di un’associazione di comuni serbi. E da questo punto di vista le istituzioni di Pristina non ci vogliono sentire perché in realtà i quattro comuni più grossi stanno solo a nord e il resto sono sei comuni più piccoli annegati in mezzo agli albanofoni. Ma non è tutto.
Ovvero?
La rivolta del 2004 riuscì anche a mandare via moltissimi serbi che stavano al sud e anche in quella circostanza ci fu un trasferimento di terre forzoso. Pezzi delle istituzioni kosovare ritengono che la Serbia sia un Paese invadente, un Paese tentacolare e una sorta di piovra. Aggiungo che in Kosovo la gioventù rappresenta il 50% della popolazione che ha voglia di viaggiare e migrare. È chiaro che l’insieme balcanico naturalmente non va incluso senza condizioni, ma non va nemmeno più frenato. Non dimentichiamo che l’Ucraina è economicamente quasi irrecuperabile, allora è più facile recuperare i balcanici, anche se hanno grosse criticità, perché questo è un segnale di futuro anche per Kiev.
Oltre Serbia e Kosovo, c’è un altro fronte critico, magari più silente ma non meno grave: la Bosnia-Erzegovina. Pochi giorni fa la Commissione europea ha proposto al Consiglio europeo di concedere lo status di candidato alla Bosnia-Erzegovina, previa risoluzione di una serie di criticità prima dell’apertura vera e propria dei negoziati di adesione all’Ue. Sul paese però gravitano due spade di Damocle: i conflitti interni e le pressioni di Mosca. Come disinnescarli?
Penso molto semplicemente che i russi hanno sempre giocato a tutto campo per creare problemi nei Balcani. E poiché non costa molto creare problemi nei Balcani, appena conviene lo fanno. Le reti di convenienza, connivenza e cointeressenza con i russi sono molto estese, il che non significa fare dei russi uno spauracchio. I russi alla fine creano certi problemi, ma se non c’è terreno fertile, non vanno da nessuna parte. I serbi fanno la politica dei due forni: si dichiarano neutrali e possono partecipare a delle esercitazioni in ambito Nato e fanno delle attività di collaborazione con la Nato. Russi e serbi sanno benissimo che di fronte alla Nato loro sono inferiori. Ricordo che dopo la Seconda guerra mondiale il rapporto Tito-Stalin era un rapporto molto sorvegliato fino a quando non ci fu lo strappo. La leggenda dice che Stalin avesse sul suo tavolo un messaggio di Tito che diceva: ‘Se non la smetti di mandarmi dei killer, te ne mando uno e non ci sarà più bisogno di un secondo’.
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— NATO Kosovo Force – KFOR (@NATO_KFOR) November 5, 2022