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Usa in Medio Oriente. La visione del Pentagono

Il Medio Oriente resta un’area di interesse strategico per gli Stati Uniti, ma il Pentagono spiega nuovamente come sarà veicolato, evitando eccessivi coinvolgimenti e privilegiando l’integrazione

Intervenendo al Manama Dialogue nei giorni scorsi, il sottosegretario alla Difesa Colin Khan ha dato una visione del ruolo che gli Stati Uniti intendo giocare adesso e nel futuro in Medio Oriente. Quanto dice Khan, che al Pentagono si occupa di strategia politica (e dunque è la figura più adatta a certe considerazioni), è importante perché la regione continua a essere turbolenta — come dimostrano le recenti operazioni militari turche contro i curdi al confine siriano o le proteste monstre in corso un Iran, per fare due esempi. E Washington vuole comunque procedere con un rimodellamento dell’impegno strategico.

Durante l’evento organizzato in Bahrein dall’International Institute of Strategic Studies (un think tank londinese), Kahl ha spiegato che in primo luogo gli Stati Uniti sosterranno e rafforzeranno i partenariati con i Paesi che aderiscono “all’ordine internazionale basato sulle regole”, e si assicureranno che questi Paesi possano difendersi da soli dalle minacce straniere.

Sono concetti espressi nella National Security Steategy, che spiegano aspetti chiave come sottolineato su queste colonne da William Wechsler (Atlantic Council). L’amministrazione Biden mette da un lato i Paesi aperti al dialogo e dall’altro quelli esposti a cooperazioni più strette con i rivali strategici. Ai primi Washington fa sapere che non mancherà di offrire la propria assistenza, anche militare, sebbene il coinvolgimento in operazioni armate sarà minore.

Gli Stati Uniti, ha spiegato Kahl, non permetteranno a potenze straniere o regionali di mettere a repentaglio la libertà di navigazione attraverso le vie d’acqua del Medio Oriente, né tollereranno gli sforzi di alcun Paese di dominare un altro Paese o la regione attraverso accumuli militari, incursioni o minacce.

Se il secondo aspetto riguarda la classica visione anti-egemonica che ha guidato tante delle attività dell’impero statunitense nella storia, la sottolineatura data alla protezione nei mari è un aspetto molto contemporaneo. La sicurezza marittima è una delle grandi questioni sul tavolo (come per esempio emerso durante la conferenza Shade Med 2022) e riguarda un ventaglio di aspetti come i commerci, dunque la fluidità delle supply chain, che quindi tocca la stabilità degli approvvigionamenti (come quelli alimentari o sanitari), e allo stesso tempo interessa i mercati energetici per poi ovviamente arrivare direttamente al contesto securitario e in generale alla stabilità regionale.

Per Kahl, anche se gli Stati Uniti si adoperano per scoraggiare le minacce alla stabilità regionale con la deterrenza integrata, lavoreranno molto di più per ridurre le tensioni, attenuare e porre fine ai conflitti, laddove possibile, attraverso la diplomazia. E questo pare essere stato completamente percepito da una serie di Paesi che ha avviato attività — per ora tattiche — di distensione che hanno interessato tutta la regione.

Per esempio, in questi giorni, sfruttando il soft power calcistico che ruota attorno ai Mondiali qatarini, l’egiziano Abdel Fattah al Sisi e il turco Recep Tayyp Erdogan si sono per la prima volta stretti la mano, mentre il factotum saudita Mohammed bin Salman si è presentato a Doha con una sciarpa della nazionale del Qatar (mentre l’Arabia Saudita appena due anni fa aveva lavorato per rompere completamente i ponti con Doha, ora bin Salman mostra che il processo di riconciliazione è a un punto talmente buono che tutti i Paesi del Golfo devono tifare per i qatarini, contro cui prima Riad aveva creato un fronte ostilissimo).

D’altronde, ha spiegato Kahl, gli Stati Uniti promuoveranno l’integrazione regionale costruendo connessioni politiche, economiche e di sicurezza tra i partner statunitensi, dice Kahl. E lo faranno comunque anche tramite strutture integrate di difesa aerea e marittima, “nel rispetto della sovranità e delle scelte indipendenti di ciascun Paese”.

Se la normalizzazione arabo-israeliana raggiunta con gli Accordi di Abramo è la platea di fondazione di questo genere di collaborazioni (politiche, economiche e commerciali), le discussioni in corso sulla cosiddetta Middle East Air Defense Alliance (MEAD) sarebbero un’ulteriore processo di integrazione. Una fonte israeliana ha spiegato a Formiche.net che le cose stanno procedendo, ma non sono possibili ulteriori commenti al momento. Il progetto riguarda la disposizione di una serie di sistemi di protezione dei cieli in vari Paesi della regione. Sistemi che porteranno di fatto Israele e Arabia Saudita a collaborare sotto l’egida statunitense (cooperazione e integrazione che permetterà agli Usa un ulteriore disimpegno tecnico).

In una delle varie immagini della sfida da gestire per gli Stati Uniti: la cinese Sinopec si è assicurata uno dei più grandi accordi sul gas naturale liquefatto di sempre, firmando un contratto di 27 anni per l’acquisto di 4 milioni di tonnellate all’anno di questo combustibile da QatarEnergy. L’accordo annunciato oggi, lunedì 21 novembre, dai gruppi statali arriva mentre l’Europa corre per assicurarsi forniture alternative di gas naturale sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina e mentre il segretario di Stato Antony Blinken arriva a Doha. La dimensione competitiva con(tro) le altre potenze è uno dei fattori chiave della presenza americana nella regione.
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