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2022-2023, da un anno sconvolgente a uno nuovo forse meno incerto

Il messaggio principale che ci lascia l’anno al termine è accettare il cambiamento di scenario imposto dagli eventi come occasione per accelerare la preparazione del nostro Paese ad affrontare le crescenti difficoltà dei prossimi anni. Ad esempio, non giova la richiesta di annacquare la disciplina di bilancio del Patto di Stabilità per alimentare una spesa in deficit a scopo puramente assistenziale e non di crescita. L’analisi di Salvatore Zecchini

L’anno che volge al termine passerà alla storia come quello dei radicali sconvolgimenti, così forti da produrre conseguenze di lunga durata e quasi paradossalmente in grado di segnare in buona parte il corso del nuovo anno. Sconvolgimenti in ogni campo di grande importanza, dal contesto geopolitico nel mondo e in Europa all’assetto della vita sociale e politica dei paesi, incluso il nostro.

In Europa si sono minate le basi della sicurezza tra Stati a seguito dell’aggressione della Russia all’Ucraina, un attacco immotivato che ha impresso brividi mai visti alle politiche ed alleanze internazionali dalla caduta del muro di Berlino del 1989. D’un colpo è crollata l’illusione che ancor dopo l’invasione russa della Crimea si potesse evitare di considerare la Russia come una minaccia alle democrazie europee e all’occidente. La brutalità con cui i russi stanno conducendo la guerra e l’assenza di provocazioni o di rischi per la sicurezza della Russia, denunciano lo spirito di conquista territoriale di questo attacco, che riecheggia la politica della Germania di Hitler di annessione dei territori limitrofi in nome del pangermanesimo sotto un unico leader.

La reazione degli occidentali era prevedibile e si è materializzata in una corsa al riarmo, ad acquisire alleati negli altri emisferi, a imporre sanzioni e restrizioni economiche, e a riformulare l’ordine delle priorità economiche. Si è dovuto porre al centro dell’attenzione dei governi la questione dell’indipendenza energetica e quella della diversificazione delle linee di approvvigionamento di materie prime e prodotti intermedi. Nel giro di un trimestre, il secondo, si è passati dall’emergenza “pandemia” all’emergenza della sicurezza nazionale. Le ripercussioni si sono avvertite in tutti i campi di attività, anche perché il nuovo shock è avvenuto in una fase delicata di uscita dalle misure straordinarie assunte per mitigare i danni della pandemia.

Sul piano della gestione macroeconomica, la nuova crisi ha rinfocolato le incipienti tensioni sui prezzi che erano iniziate a manifestarsi nell’ultima parte del 2021. L’abbondante liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali ha assecondato le spinte inflazionistiche derivanti dalla ripresa della domanda mondiale di beni e servizi in un contesto di insufficiente capacità di allineamento dell’offerta alle maggiori richieste.

Ad aggravare il disaccoppiamento tra domanda crescente e offerta in ritardo hanno concorso le restrizioni commerciali e le sanzioni alla Russia, che hanno sconvolto i tradizionali circuiti di fornitura di input primari e costretto a ricorrere a nuovi fornitori meno convenienti e a ridisegnare le filiere di provvista. L’illusione che, in presenza di un’inflazione da offerta ed erroneamente ritenuta transitoria, non fosse giustificato tirare i freni monetari ha prodotto picchi di rialzo dei prezzi che non si vedevano da decenni e che troppo tardi sono stati contrastati dalle banche centrali. Nel novembre scorso i prezzi al consumo avanzavano al tasso annuo del 7,1% in America, del 10,1% nell’area euro e del 10,7% nel Regno Unito. In Italia è andato oltre, portandosi all’11,8%.

La rapida restrizione monetaria che ne è seguita e le dichiarazioni delle autorità di voler persistere in questo atteggiamento fino al rientro sull’obiettivo del 2% annuo rallenterà i ritmi dell’attività economica nel 2023 e in particolare gli investimenti, che ne sono stati uno dei motori. Dopo anni di moneta facile le imprese si trovano a fronteggiare un deciso peggioramento nell’accesso al credito e nel suo costo proprio quando i ricavi tendono a diminuire.

Lo sconvolgimento tocca anche i mercati, in particolare quelli dell’energia. La modifica del peso relativo dei principali fornitori, il price cap deciso dal G7 e dall’Ue, e il tentativo di contrapporre al monopolio dell’OPEC+ il monopsonio dell’Ue potrebbero incidere sull’assetto e sulla funzione dei mercati regolamentati, a vantaggio di quelli non ufficiali, i cosiddetti Otc. L’effetto sarebbe di rendere sempre più opachi la formazione dei prezzi di scambio e la loro funzione di segnali per le scelte delle imprese e dei consumatori.

Un risultato simile discende anche dagli estesi alleggerimenti dei costi energetici che i governi hanno concesso, a spese delle finanza pubblica, alla popolazione e al mondo produttivo nella convinzione che la fiammata dei prezzi energetici non possa durare a lungo. Ma i cambiamenti nell’assetto dei mercati, le restrizioni ai flussi commerciali e il perseguimento di una minore dipendenza dall’estero comportano notevoli rincari dell’energia per lungo tempo. Basti pensare allo straordinario volume d’investimenti necessari per riuscire a rendere le energie rinnovabili la fonte principale di soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Attenuare i rincari, inoltre, non accelera la transizione verde, né contribuisce al risparmio di energia, né al suo uso efficiente.

Purtroppo, anche la transizione verde è un campo d’attività che sta pagando i costi dell’attuale crisi energetica, con lo sconvolgimento dei programmi di riduzione delle emissioni inquinanti ed il rallentamento dei piani d’investimento.
La soluzione più efficace, invece, non può che provenire dall’accelerazione del rinnovamento tecnologico dei paesi e da uno straordinario impegno nella ricerca e nella diffusione delle sue applicazioni nonostante i turbamenti sociali che induce. Già dall’inizio del decennio nei principali paesi si avvertono i crescenti sconvolgimenti che nuove applicazioni tecnologiche stanno provocando nell’economia e nella società. Ad esempio, l’intelligenza artificiale, il 5G, big data, le connessioni a banda ultralarga sono avanzate a grandi passi dall’anno 2020 e continueranno sempre più celermente negli anni avvenire.

Segni sconvolgenti sono emersi quest’anno nel ruolo del soggetto pubblico nel mondo delle imprese. Persino in un paese ideologicamente restio a ogni intromissione dello Stato nelle imprese, si è assistito a una ridefinizione della politica “industriale”, che si è snodata sia nel senso di orientare risorse pubbliche e private su specifiche missioni di sviluppo tecnologico (in Usa, ad esempio con lo Inflation Reduction Act), sia nel diretto coinvolgimento nella ristrutturazione di grandi imprese e nella proprietà di imprese. Questo secondo aspetto si è visto in Francia, Germania, Italia e in altri paesi dell’Oecd.

Ancor più sconvolgente è stata l’attuale evoluzione della Cina sul piano economico e della gestione delle emergenze. Dopo anni di crescita impetuosa, sotto l’incalzare della pandemia del Covid il governo ha ristretto le attività economiche e sociali per fermare i contagi. Di conseguenza, la crescita nell’anno in corso si è ridotta da ritmi del 6% annuo a circa un terzo (tra il 2 e il 3% secondo molte stime) e il peso della domanda cinese sui mercati mondiali di energia e materie prime si è attenuato, con l’effetto di limitare i picchi di quotazione. Nel 2023, con l’eliminazione delle restrizioni e la ripresa economica, il suo rientro in massa sui mercati non mancherà di riproporre tensioni sui prezzi con ripercussioni sulle economie occidentali.

Forti scossoni anche sui mercati finanziari nel 2022. L’aspetto più importante ed evidente è lo sgonfiamento della bolla creatasi sui principali mercati azionari particolarmente, ma non esclusivamente, a seguito delle grandi immissioni di liquidità delle banche centrali. Nei mercati guida, ovvero quelli americani, l’indice DJ Industrial Average è sceso di circa 10,3% e il Nasdaq di oltre il 33%. I mercati europei hanno seguito le tendenze dei mercati americani con cali consistenti ma meno intensi. La correzione era temuta da tempo dagli operatori di mercato in concomitanza con l’avvio dell’indirizzo restrittivo delle politiche monetarie, ma probabilmente era anche attesa dagli investitori più attenti.

Nell’anno nuovo è difficile attendersi una ripresa delle quotazioni in un contesto di rallentamento economico, se non proprio di recessione, e di un proseguimento nella restrizione monetaria fino al placarsi dell’inflazione. Di riflesso, il costo del denaro resterà su livelli relativamente più alti degli scorsi anni e ne risentirà l’attività d’investimento delle imprese, che diverranno più selettive nel senso di avviare solo quei progetti dalla maggiore redditività.

Altri significativi cambiamenti hanno marcato l’andamento dei mercati finanziari quest’anno. La bolla delle criptovalute si è sgonfiata drasticamente con la rovinosa uscita dal mercato di alcune di esse e la conseguente crisi di fiducia nel comparto. D’un tratto quegli investitori si sono risvegliati alla realtà di rischi elevati nell’investire in mercati non regolamentati e avulsi da significativi riferimenti all’economia reale. Nondimeno, il settore non sembra destinato a scomparire, ma a rientrare su dimensioni limitate dai notevoli rischi che si assumono. Positivo è stato, invece, lo sviluppo degli altri strumenti alternativi al finanziamento bancario. Ne hanno tratto vantaggio nuove iniziative imprenditoriali di scala limitata e anche il ribilanciamento nella composizione del finanziamento delle Pmi.

Nel 2023 la stretta monetaria e il rincaro del denaro continueranno a sostenere lo sviluppo della finanza alternativa, in particolare, del crowdfunding, benché la sua capacità di soddisfare il fabbisogno delle imprese rimarrà modesto per ragioni strutturali.

Meno sconvolgente l’evoluzione dell’assetto politico nell’area occidentale. In America i risultati delle elezioni di mid-term hanno consolidato le probabilità di una conferma dell’attuale amministrazione alle presidenziali del 2024. Anche in Francia il presidente è stato riconfermato, ma la perdita della maggioranza parlamentare renderà più incerta l’evoluzione delle politiche. In Germania e in Italia il cambio della leadership non ha prodotto finora rovesciamenti di indirizzo, quanto piuttosto quei riorientamenti resi urgenti ed inevitabili dalla crisi energetica e dalla minacciosa politica della Russia.

In Italia l’evoluzione delle politiche economiche nel 2023 resterà ancorata all’attuazione del Pnrr per via dei vantaggi finanziari che comporta, e pur rimanendo grandi incertezze, il governo avrà pochi gradi di libertà per variazioni di rilievo a causa del persistente bisogno di aiuti esterni per fronteggiare il disastroso stato della finanza pubblica. Sul capitolo delle riforme di sistema, così cruciali per assicurare una crescita sostenuta negli anni, non si intravedono grandi spiragli di cambiamenti. Anche quelle poche realizzate dal governo precedente hanno tutta l’aria di essere di facciata e non di incisione sostanziale sugli impedimenti che ostacolano lo sviluppo sociale ed economico. Il bisogno di riforme sostanziali rimane, tuttavia, elevato, come mostrano le pastoie della burocrazia, l’eccesso di regolamentazioni e il regionalismo inefficiente e costoso, che hanno determinato ritardi nell’attuazione dei progetti del Pnrr ed insufficiente capacità di mettere in campo validi progetti d’investimento e di portarli a compimento con le risorse dei Fondi comunitari.

Se non è possibile alcuna previsione sull’evoluzione del conflitto armato in Ucraina, il prossimo anno presenta, invece, meno incertezze sui versanti monetario, finanziario e congiunturale. Il messaggio principale che ci lascia l’anno al termine è, pertanto, accettare il cambiamento di scenario imposto dagli eventi come occasione per accelerare la preparazione del nostro Paese ad affrontare le crescenti difficoltà dei prossimi anni. Ad esempio, non giova la richiesta di annacquare la disciplina di bilancio del Patto di Stabilità per alimentare una spesa in deficit a scopo puramente assistenziale e non di crescita. In assenza di incisivi aggiustamenti di sistema, il Paese rimarrebbe impastoiato nel populismo e nella persistente condizione di vulnerabilità con frequenti richieste di aiuto ai partner europei ed americani.

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