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Le ambiguità gialloverdi su Kiev e i grattacapi del Pd. Parla Palano

“Conte ha catalizzato una buona parte di quell’elettorato che non si riconosce più nel Pd e che non trova riscontri nella sinistra-sinistra. La Lega ambigua per raccogliere qualche consenso”. E le future alleanze del Pd? “Dipenderà dal segretario. Con Bonaccini asse con i 5 Stelle più difficile”. Conversazione con Damiano Palano, politologo e direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Ambiguità gialloverdi. Se la linea di Giorgia Meloni (ribadita anche dal ministro Crosetto) è chiara e netta, quella del Carroccio presenta ancora zone d’ombra. Il filo atlantismo di Meloni è ormai un tratto identitario di Fratelli d’Italia. Questo ha come traduzione politica il pieno appoggio all’Ucraina e al governo di Kiev. Nel Carroccio (con le debite differenze, come l’europarlamentare Dreosto) presenta ancora qualche titubanza. Conte balla da solo, “in coerenza con se stesso, più che alla linea del Movimento 5 Stelle. Comunque, questa saldatura gialloverde sull’Ucraina, potrebbe ripresentarsi anche sul Mes”. La previsione è di Damiano Palano, politologo e direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Ormai certe posizioni, specie in casa leghista, sembravano abbandonate. 

No. Queste ambiguità, figlie di antiche aderenze della Lega alla Russia di Putin sono rimaste e non tramonteranno facilmente. Questa zona “grigia” rappresenta, per Salvini, un modo per distaccarsi da Fratelli d’Italia e presentarsi a un certo tipo di elettorato cercando di raccogliere qualche punto di consenso. Specie tra coloro che non solo sono ostili all’invio delle armi, ma che nutrono avversità verso l’applicazione delle sanzioni alla Russia.

Perché lei sostiene che Conte sia coerente “con se stesso” e meno con la linea del Movimento?

I 5 Stelle durante il governo guidato da Mario Draghi hanno votato favorevolmente all’invio di armi in Ucraina. Va detto, tuttavia, che da allora sono cambiate diverse cose. La componente principale di questa palingenesi è rappresentata dall’uscita di Luigi Di Maio. Va dato atto a Conte di aver catalizzato una buona parte di quell’elettorato che non si riconosce più nel Pd e che non trova riscontri nella sinistra-sinistra. D’altra parte, il centrodestra è ben presidiato e rappresentato: l’unico spazio politico sguarnito è a sinistra. Oltre al mondo che gravita attorno all’associazionismo cattolico e pacifista.

Questo però pone un grosso problema per il Pd. Se non c’è una linea comune su questo, un’alleanza futura è piuttosto improbabile. 

Date le condizioni attuali è difficile immaginare che ci possa essere un qualche accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle. Anche perché Letta ha imposto, durante il suo mandato, poche parole d’ordine ma molto chiare. Una di queste riguarda senz’altro il posizionamento accanto al popolo oppresso: l’Ucraina. Certo, tanto del futuro del Pd anche in ottica di alleanza dipenderà da chi vincerà la sfida del congresso.

Si spieghi. 

Se Bonaccini fosse il prossimo segretario avremmo un Pd, paradossalmente, in continuità con quello attuale. Ma alleanze con il Movimento 5 Stelle non sarebbero propriamente agevoli. Se dovesse vincere Elly Schlein, la cui proposta politica è ancora piuttosto nebulosa, si tratterebbe di un cambiamento molto radicale per i dem. Lei ha una formazione di un certo tipo, che guarda senz’altro più a sinistra. Staremo a vedere.

Tornando alle saldature gialloverdi. Perché teme per il Mes?

Nel solco di antiche ma mai del tutto sopite aderenze tra Lega e Movimento 5 Stelle, ci potrebbero essere strani scenari sul Mes. Ma la matrice di tutto questo è abbastanza chiara. Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia raccolgono la stragrande maggioranza del consenso con battaglie populiste. Mentre, però, in FdI la componente populista è ormai del tutto marginale, nella Lega e nel Movimento 5 Stelle è ancora forte. E non penso verrà sradicata mai del tutto.

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