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Il mondo arabo ad Amman per parlare (anche) di Iraq

La conferenza organizzata dalla Francia ad Amman per parlare (anche) di Iraq è stata un momento per mettere allo stesso tavolo i Paesi arabi del Golfo e l’Iran. Baghdad, dove oggi è in visita la presidente Meloni, è il centro di dinamiche regionali

Seguendo il successo (d’immagine e in parte politico-diplomatico) dello scorso anno, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha rilanciato anche quest’anno il formato di colloquio che va sotto il nome di Conferenza di Baghdad. Una serie di rappresentanti di Unione Europea, Nazioni Unite, Lega Araba, Consiglio di Cooperazione del Golfo e Organizzazione della Cooperazione Islamica si sono riuniti martedì 20 dicembre, stavolta ad Amman, capitale della Giordania — coinvolta da Macron e spinta a incrementare il proprio ruolo all’interno della regione.

“L’evento sponsorizzato dalla Francia potrebbe essere un gradito punto di partenza per una più ampia cooperazione tra il nuovo governo iracheno e i suoi vicini arabi, in particolare la Giordania, ma solo il tempo ci dirà se gli accordi presi in quella sede si concretizzeranno”: così il Washington Institute for Near East Policy riassume il vertice.

I cambiamenti nella sede, della leadership politica irachena e del contesto regionale, dicono molto sull’evoluzione degli interessi degli organizzatori. Al di là della dichiarazione finale relativamente consensuale dell’evento, il semplice fatto di riunire così tanti attori nella stessa stanza è stato considerato un successo diplomatico, con una lista di invitati che comprendeva il presidente dell’Egitto, l’emiro del Qatar, il primo ministro degli Emirati Arabi Uniti e i ministri degli Esteri di Iran, Turchia e Arabia Saudita.

In quello che è stato uno dei rari incontri in grado di riunire Iran e Paesi arabi, il capo della diplomazia di Teheran ha avuto anche modo di incontrare anche Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera Ue. Il bilaterale a latere della conferenza, che dimostra anche la volontà di Parigi di essere più inclusiva dello scorso anno, arriva in un momento complicato, con l’accordo sul nucleare (di cui l’Europa è parte) alla deriva e le sanzioni per l’aiuto iraniano alla Russia.

“Il cambio di governo in Iraq con un primo ministro e un gabinetto fortemente influenzati da Teheran ha ridotto le possibilità di distensione iraniana con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La guerra nello Yemen rimane irrisolta e l’Iran è nervoso per i crescenti legami arabi con Israele, presto sotto la guida dell’arci-destra Benjamin Netanyahu. In queste circostanze, è difficile essere ottimisti su questo tipo di vertice”, commenta Barbara Slavin esperta di Iran dello Smitson Center.

L’Iran è parte in causa anche in uno dei dossier più importanti messi sul tavolo dal formato di dialogo allargato: il destino dell’Iraq e promuoverlo come area di cooperazione tra Paesi rivali piuttosto che come bersaglio di interferenze.

Un obiettivo che non è ancora stato raggiunto. La situazione politica irachena è stata nuovamente scossa e altre crisi sono emerse all’interno e all’esterno della regione, sollevando numerose sfide per gli organizzatori dell’attuale conferenza. Insieme ai nuovi padroni di casa giordani, Parigi e Baghdad hanno cercato di cavalcare sul successo della prima conferenza, ampliando il numero di questioni all’ordine del giorno e cercando di avviare una cooperazione regionale concreta in una più ampia varietà di settori, tra cui l’energia.

La decisione di tenere la conferenza ad Amman riflette una più ampia espansione delle relazioni del regno con l’Iraq e del suo calcolo nei confronti di quest’ultimo. La Giordania ha investito molto capitale politico nella promozione dell’ex primo ministro Mustapha al-Kadhimi, e durante il suo mandato sono stati istituiti numerosi forum multilaterali, dalla Conferenza di Baghdad agli incontri ad alto livello che il Regno sta tenendo con l’Iraq e l’Egitto.

Le dimissioni anticipate di Kadhimi hanno creato ansia tra i funzionari giordani e di altri Paesi del Golfo, soprattutto perché il suo successore, Mohammed Shia al-Sudani, era in gran parte sconosciuto è considerato manovrabile dalle forze politiche (e paramilitari) collegate ai Pasdaran. Per tale ragione è stato ad esempio interrotto il sistema di dialogo Iran-Arabia Saudita che veniva ospitato nella capitale irachena sotto la supervisione di Kadhimi. Tuttavia, il primo viaggio all’estero di Sudani in qualità di primo ministro è stato proprio ad Amman, placando alcune delle preoccupazioni.

È d’altronde nell’interesse di Sudani continuare a cavalcare il ruolo di centro dialogo diplomatico che Kadhimi ha iniziato a costruire per l’Iraq. In particolare, il link Amman-Baghdad è utile per la Giordania per cercare di accedere a petrolio affidabile e a basso costo, in parte offrendosi come via di transito sul Mar Rosso per il greggio iracheno attraverso il progettato oleodotto Bassora-Aqaba — e dunque di grande valore anche per l’Iraq, chiaramente. I due Paesi hanno anche lanciato un progetto per collegare le loro reti elettriche lo scorso ottobre. La Giordania vede sempre più l’Iraq come un mercato di connessione.

L’evento di Amman, occasione per Sudani da cui iniziare a costruire relazioni buone (quanto meno pragmatiche) con gli altri attori regionali che lo vedono asservito alle forze filo-iraniane, è un modello particolarmente efficace per raggiungere i Paesi del Golfo. La regione teme temono le minacce poste dalle milizie sostenute dall’Iran — ne hanno subito l’effetto con gli Houthi yemeniti, ne percepiscono i rischi quando si tratta dell’Iraq o della Siria. Ma il Golfo spera anche di sfruttare le numerose opportunità di investimento irachene, considerandole anche un modo con cui sganciare il Paese dalla presa iraniana.

Chiaramente anche Teheran non si oppone alla partecipazione di Sudani alla conferenza, in parte perché un governo iracheno isolato a livello internazionale non serve gli interessi iraniani. In fin dei conti, l’evento giordano ha offerto anche un primo esempio di come Sudani stia cercando di perpetuare l’eredità di Kadhimi, la cui personalità e i cui risultati in politica estera erano molto apprezzati sia dagli attori regionali che da quelli internazionali, come USA e Ue. Più in generale, il fatto che la conferenza sia stata ripetuta nonostante il cambio di leadership si allinea bene con l’idea di costruire ponti con lo Stato iracheno, indipendentemente da chi lo guidi.

Il fatto che il destino dell’Iraq faccia da proxy per questi incontri diplomatici di altissimo livello dà la misura dell’importanza che il Paese ha per la regione. Non è un caso se tra i tour natalizi per augurare un sereno Natale alle truppe, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia scelto proprio una visita a Baghdad (dove l’Italia guida la NATO Mission in Iraq). Una visita che ha anche la contingenza temporale della conferenza organizzata dalla Francia.

Sia il vertice di Baghdad del 2021 che l’evento di Amman di quest’anno rientrano in quell’approccio che Parigi chiama la “diplomazia delle conferenze”, che sottolinea il valore di tali eventi per il rafforzamento della stabilità regionale e delle relazioni tra leader. Su questo, la diplomazia italiana cerca di non restare indietro.

Poiché l’Iraq è un importante punto di intersezione per attori regionali influenti come l’Iran, l’Arabia Saudita e la Turchia, viene considerato il miglior punto di partenza per allentare le tensioni nel vicinato (sempre continuando con gli esempi, le relazioni di Baghdad con Ankara stanno attualmente attraversando un momento di difficoltà e potrebbero beneficiare di un balsamo diplomatico). L’Iraq è anche un contesto privilegiato per mostrare come le sfide internazionali, per esempio il riscaldamento globale — la sicurezza alimentare, la desertificazione, la sicurezza energetica, le emergenze sanitarie, i disastri naturali e industriali — possano influenzare il Medio Oriente.

Un altro segno dell’importanza del formato per la Francia è arrivato all’inizio del mese, quando la Conferenza di Baghdad è stata tra i pochi argomenti mediorientali menzionati nella dichiarazione congiunta rilasciata dopo l’incontro di Macron con Joe Biden a Washington. L’Iraq è un impegno cha ha segnato la storia recente degli Stati Uniti, che accolgono con favore gli impegni alleati e la possibilità di usarlo per creare sinergie regionali.



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