Intervista all’economista ed ex membro del consiglio di sorveglianza della Bce. Al netto dell’isolamento che dopo il sì tedesco rischia di diventare imbarazzante, una ratifica del Trattato che riforma il Meccanismo europeo di stabilità comporterebbe una certificazione di sana e robusta costituzione dei conti pubblici italiani. Il premier è stato responsabile, lo dimostri ancora una volta. Anche perché la sovranità finanziaria non sarebbe in discussione
Sì, l’Italia presto potrebbe ritrovarsi isolata in Europa nello scacchiere del Mes, al secolo Fondo salva Stati. Ma Giorgia Meloni, che fin qui si è dimostrata lungimirante più di quanto si imaginasse, può ancora tirare fuori dal cilindro la mossa che proietterebbe il primo premier donna della storia italiana nel cuore dell’Europa.
Berlino ratificherà il Mes, è questione di settimane, a valle della decisione della Corte costituzionale tedesca che ha dichiarato inammissibile un ricorso che contestava gli atti nazionali di approvazione dell’accordo del 27 gennaio 2021, che modifica il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Per questo, spiega a Formiche.net Ignazio Angeloni, economista presso il Robert Schuman Center of the European University Institute ed ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce, Roma dovrebbe prendersi del tempo e alla fine allinearsi al resto d’Europa.
Con il sì della Germania al Mes l’Italia è rimasta nei fatti pressoché isolata.
Era prevedibile che avvenisse. In genere, la Germania si muove lentamente ma senza arrestarsi: alla fine la decisione arriva quando gli altri non se lo aspettano. La ratifica della riforma dipende dalla firma del presidente, Frank-Walter Steinmeier, ma dopo la luce verde della Corte costituzionale dovrebbe trattarsi di un fatto formale e probabilmente rapido. A quel punto l’Italia sarà l’unico paese a bloccare l’adozione della riforma del Mes, e con essa le nuove modalità di assistenza finanziaria agli Stati e il sostegno di ultima istanza, il backstop, al fondo di risoluzione bancaria europea. Una situazione che può creare imbarazzo e richiedere qualche spiegazione in più sul perché la ratifica non sia ancora avvenuta.
Al governo però c’è Giorgia Meloni. Quali scenari aspettarsi, anche alla luce del governo attuale?
Difficile prevederlo. Per quanto riguarda l’assistenza agli Stati, l’aspetto che a me sembra più importante, una volta capito che le nuove modalità non comportano maggiori rischi di insolvenza, è che con la riforma non verrà più richiesto al Paese che ottiene una garanzia precauzionale, la precautionary line, di firmare un impegno con il Mes, sotto forma di Memorandum of understanding. La procedura di ottenimento diventa più informale, si tratta di una certificazione dello stato di salute del Paese e della sua finanza pubblica che il Mes può emettere senza richiedere documenti di impegno formalizzati.
Dunque?
Si apre quindi un’opportunità per questo governo: procedere alla ratifica e simultaneamente ottenere le certificazione. Con il Patto di stabilità ancora sospeso e assumendo che la legge di Bilancio vada in porto con il sostanziale assenso della Commissione Europea, quest’ultima dovrebbe essere ottenibile. La garanzia precauzionale del Mes apre la strada all’Outright Monetary Transaction della Bce: il cosiddetto bazooka anti spread varato da Mario Draghi nel 2012. Strumento più solido del Transmission Protection Instrument introdotto dalla presidente della Bce Lagarde a luglio.
La provoco. In un frangente post pandemico in cui il Patto di stabilità è ancora formalmente sospeso, quali i rischi per la nostra sovranità finanziaria, ammesso che ce ne siano, da una ratifica del Mes?
La sovranità finanziaria di un Paese come il nostro non si decreta: si conquista con una politica economica e finanziaria responsabile, che convinca gli investitori e, dietro a essi, le istituzioni europee a cui apparteniamo e che, anche nel nostro interesse, esercitano la vigilanza sulla stabilità dell’euro. Questo governo aveva suscitato qualche dubbio al tempo delle elezioni, ma la linea responsabile tenuta dalla presidente Meloni finora sembra avere attenuato quelle incertezze. Lo spread sui titoli italiani da settembre a oggi è gradualmente sceso. Un progresso importante ma ancora fragile. Una certificazione del Mes metterebbe quei risultati al sicuro e e ne garantirebbe altri. Per questo governo sarebbe un colpo da maestro.
E per quanto riguarda risoluzione bancaria?
In cauda venenum. Nel documento della Corte, in un paragrafo finale quasi invisibile, si dice che la Bce non potrà fare credito al Mes perché si tratterebbe di finanziamento monetario agli stati. Le conseguenze giuridiche di quella decisione vanno valutate, ma è possibile che essa impedisca alla banca centrale di fornire liquidità al fondo di risoluzione, che dopo la riforma sarà collegato al Mes. Bloccando così uno strumento che il Meccanismo di risoluzione unico aveva richiesto e che la stessa Bce ad alcune condizioni era disposta a concedere. In linea teorica non è un male: anche negli Usa il fondo di risoluzione (Orderly Liquidation Fund) è alimentato della Fdic, che si indebita con il Tesoro, non dalla Riserva Federale. Ma in Europa l’assenza di una funzione fiscale unica rende tutto più difficile. Andrà trovata una via alternativa per facilitare la risoluzione bancaria senza scontrarsi con i divieti del Trattato.