Il gallerista Larry Gagosian ha scelto di inserire nel board della sua Galleria d’Arte figure provenienti da differenti ambiti professionali. Questo può rappresentare un validissimo elemento di riflessione anche per le scelte italiane. Il commento di Stefano Monti, partner di Monti&Taft
“L’obiettivo del nuovo board è quello di alzare il livello del pensiero strategico e della visione per il futuro della galleria. Ho ritenuto importante accogliere diverse prospettive ed esperienze in una conversazione sulle opportunità e le sfide che gli artisti devono affrontare oggi e domani, nonché sul futuro del collezionismo”.
Con queste affermazioni Larry Gagosian ha presentato il Consiglio di amministrazione della sua Galleria d’Arte, sicuramente tra le più influenti al mondo, con le sue 20 sedi internazionali.
Il Consiglio di amministrazione è composto da 8 membri interni, tra cui lo stesso Gagosian, e 12 membri esterni, tra i quali Delphine Arnault – LVMH, Laurent Asscher – tech-investor e socio, tra le altre, dell’italiana Safety21, Bill Bell – presidente di una società di produzione proprietaria di una delle più viste soap-opera degli Usa, Francesco Bonami – ben noto curatore italiano, Valentino Carlotti – partner della società di investimento Brown Brothers Harriman, Sofia Coppola – famosa regista, Matthew S. Dontzin – consulente legale di Gagosian, Glenn Fuhrman – partner di Tru Arrow Partners, società di investimento in ambito tecnologico fondata da James Rothschild, J. Tomilson Hill – attivo, con vari ruoli, in differenti fondi di investimento e società finanziarie, Dasha Zhukova Niarchos – fondatore del Garage Museum of Contemporary Art di Mosca e imprenditrice nel settore artistico, Jenny Saville – artista, Evan Spiegel, fondatore di Snapchat.
Si tratta di un board molto esteso, che coinvolge figure provenienti da differenti ambiti professionali e che rappresenta un validissimo elemento di riflessione.
Prima di continuare, però, è forse opportuno fare un inquadramento di tipo “umano”: si sta parlando di un uomo, nato nel ’45, che ha iniziato a lavorare nel mondo dell’arte vendendo manifesti per strada, e che, nel tempo, ha creato un vero e proprio impero e che è prima di tutto un uomo d’affari. Un uomo d’impresa. Si sta, dunque, parlando di una delle scelte più difficili che un uomo possa fare: trovare il modo per garantirsi che quanto costruito nella propria vita possa sopravvivergli. E si sta parlando di una scelta compiuta da uno degli uomini più importanti del mondo dell’arte.
Sono queste condizioni a rendere doverosa una riflessione, soprattutto se si guarda al modo con cui, nel nostro Paese, intendiamo l’arte e interpretiamo i consigli di amministrazione.
Il team creato dal gallerista include infatti competenze e professioni in alcuni casi distanti dall’arte: finanza, tecnologia, consulenti legali. Si tratta di professioni e visioni differenti, che riflettono una delle dimensioni più sincere del mercato dell’arte: la sua natura “mercantile”, e la necessità di comprendere e conoscere il linguaggio delle persone che, piaccia o meno, possono realmente permettersi di costruire una collezione d’arte.
Accanto a loro, gli esperti interni, quelli che con l’arte ci lavorano quotidianamente, e che hanno contribuito, con il proprio lavoro, alla crescita di Gagosian. Ma non solo loro. Non solo gli esperti d’arte.
Non è detto che le scelte condotte da Gagosian siano necessariamente giuste. E, a scanso di equivoci, non è detto che tutte le organizzazioni che si occupano di arte debbano assumere una visione così legata al mercato.
Ma quale che sia l’obiettivo che un’organizzazione intende perseguire, è importante riconoscere, nelle scelte operate da Gagosian, l’importanza di differenti visioni del mondo.
Queste differenti visioni, nel nostro Paese, soltanto raramente vengono realmente implementate, e spesso, quando ciò accade, tale “multidisciplinarietà” viene realizzata attraverso la partecipazione ai board di esponenti del mondo accademico.
Guardando il modo con cui Gagosian ha costruito il proprio team, e le professioni e i professionisti presenti nei nostri musei, emerge come, nel nostro Paese, in fondo, non si sia mai abbandonata del tutto quella visione aristocratica dell’arte.
Chiaro, quello di Gagosian non è un museo. Quello di Gagosian è un soggetto imprenditoriale.
Ma mentre Gagosian ha costruito un impero, molti dei nostri musei fanno ancora fatica a divenire parte centrale della vita dei cittadini.
Nel dubbio, forse, una riflessione la merita.