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L’autonomia differenziata. Dal “falò delle leggi” al “falò delle Regioni”?

Il ministro Calderoli sta cercando di accelerare il risultato, è uomo di una certa intelligenza, esperto di codicilli e di procedura parlamentare, però forse un po’ troppo creativo e originale. L’opinione di Luigi Tivelli

La politica italiana da lungo tempo si nutre di “miti” e “riti”. Quanto ai “riti” sia quelli formali che i troppi informali, ne paghiamo il prezzo praticamente ogni giorno, come emerge dalle cronache politiche. Ma qui mi volevo soffermare su un “mito”, sostenuto da sempre, soprattutto da quella che era la Lega Nord ed oggi è la Lega, che prima o poi, per certi versi potrà trasformarsi da mito in realtà. Mi riferisco all’“autonomia differenziata”. Una bandiera della Lega (già nel 2011 Umberto Bossi aveva ottenuto il risultato simbolico di aprire a Monza delle depéndance di alcuni ministeri), oggi imbracciata con forza dal ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli.

Un ministro che sta tentando di accelerare in tutti i modi, per certi versi anche con buona pace dei fisiologici percorsi giuridico-istituzionali, di ottenere il risultato. Calderoli è uomo di una certa intelligenza, esperto di codicilli e di procedura parlamentare, però forse un po’ troppo creativo e originale. Ricordo bene quando da ministro per la Semplificazione Normativa aveva mobilitato tutta la grande base dei pompieri, o vigili del fuoco, sulla Via Appia e aveva fatto accumulare scatoloni su scatoloni pieni di Gazzette Ufficiali per fare quello che chiamò il “falò delle leggi”.

Non mi pare poi che al di là di questo falò delle leggi abbia ottenuto molto sul piano della semplificazione normativa, visto che – come sostiene il ministro della Giustizia Carlo Nordio abbiamo dieci volte più della media europea – siamo sostanzialmente uno dei Paesi con più leggi nel mondo e quello con più leggi d’Europa, certamente fra i primissimi al mondo.

Non lo so se per eccesso di zelo, per eccesso di accelerazione Calderoli oggi rischia di fare invece il “falò delle Regioni”. Sulla base dell’iter da lui scelto molto probabilmente finirebbe per fare infatti un “falò delle Regioni” centro-meridionali. Le competenze che secondo la sua bozza di progetto sull’autonomia dovrebbero essere trasferite alle Regioni del Nord sono ben 27 e riguardano trasversalmente tutti i ministeri.

Non solo. La decisione di quante risorse economiche e umane delegare alle ricche regioni del Nord è demandata ad una sorta di trattativa privata fra la Regione richiedente l’autonomia e lo stesso ministro per gli Affari Regionali.

Non è che la cosa più importante sarebbe il pesante impatto che questo avrebbe su Roma, che in fondo è la Capitale d’Italia, sia per l’occupazione che per altri aspetti economico-sociali. Ciò in attesa che si vari finalmente una norma costituzionale su “Roma Capitale”.

Mi pare di capire che, a parte il pesante impatto su Roma, quello più pesante sarebbe sui cittadini di larga parte della nazione, visto che non mi sembra che si stiano ponendo basi serie sulla questione cruciale dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), richiamata dall’art. 143 della Legge di bilancio, che mi pare, però, rechi più una ricognizione amministrativa dell’esistente che una vera determinazione dei Lep da garantire in tutte le Regioni.

Ovviamente secondo l’ex artefice del “falò delle leggi”, la maggior spesa che le Regioni interessate dall’autonomia dovranno sostenere dovrà essere finanziata con la compartecipazione ai tributi erariali: ad esse dovranno infatti andare pezzi significativi di tributi statali (Irpef o Iva) maturati nel territorio per finanziare le nuove competenze.
Il quesito semplice a questo punto è: se le Regioni più ricche di Italia dovranno trattenere più soldi delle tasse nel loro territorio sottraendoli allo Stato, chi e come potrà finanziare servizi migliori per tutto il Paese?

Il creativo ministro Calderoli prevede poi che i Lep siano stabiliti da una Cabina di regia e, ove questa non termini il lavoro, da un Commissario. Ma per Calderoli che è passato a misurarsi, dopo essere stato un fine dentista, quasi in veste di fine giurista, guarda caso i Lep verrebbero adottati con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, sfuggendo in questo modo a qualsiasi tipo di verifica parlamentare, senza essere inoltre impugnabili dinanzi alla Corte Costituzionale. Mi sembra che siamo davanti a un vero capolavoro giuridico-istituzionale! Già tanti sono i cocci che ha lasciato sul terreno la riforma del Titolo V della Costituzione varata nel 2001 dal centro-sinistra aggirando il più possibile il ruolo dell’allora ministro delle Riforme Istituzionali Antonio Maccanico (che da tempo aspetta una nuova seria riforma), tuttavia non certo minori sarebbero i cocci lasciati sul terreno istituzionale, ma su cui i poveri cittadini di molte Regioni italiane camminandoci ci lascerebbero i piedi, da questa sorta di progetto di riforma.

Onestamente alla fin fine preferivo Umberto Bossi, che ho frequentato in varie fasi molto volentieri, specie in quella in cui veniva ispirato da un vero grande professore di Diritto costituzionale (però pure lui un po’ troppo creativo), quale Gianfranco Miglio.

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