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Guerra dei chip, Tokyo chiude il triangolo anti-Cina con Olanda e Usa

Microchip

Anche il Giappone, ultimo Paese cruciale per la supply chain dei semiconduttori, adotterà le misure di export control statunitensi. L’alleanza potrebbe essere la fine per l’industria di Pechino, che ricorre all’Omc contro Washington e progetta un gigantesco pacchetto da 124 miliardi di dollari in sussidi e sgravi

Si scalda il fronte dei chip. Dopo i Paesi Bassi, anche il Giappone si è accordato (in linea di principio) con la nuova serie di controlli sulle esportazioni voluti dagli Stati Uniti. Si tratta di misure progettate per limitare l’accesso cinese a semiconduttori avanzati, strategici sia economicamente sia militarmente, e alle tecnologie necessarie per produrli. La notizia è di Bloomberg, che spiega come i due Paesi alleati probabilmente annunceranno l’adozione dei controlli nelle prossime settimane.

Se andasse in porto, l’accordo moltiplicherebbe l’efficacia della strategia di Washington. Oltre agli Stati Uniti, Olanda e Giappone sono i principali esportatori di know-how e tecnologie per fabbricare i microchip più avanzati. L’esempio più d’impatto sono i macchinari per la litografia, ossia gli “stampi” fabbrica-chip alla base della produzione di semiconduttori. Al divieto sui macchinari per i chip a sette nanometri o meno – già in vigore da anni – andrebbero ad aggiungersi quelli per i chip a quattordici nanometri o meno, meno avanzati ma diffusissimi nelle apparecchiature moderne.

In sostanza, l’alleanza dei tre Paesi rappresenterebbe un blocco quasi totale della capacità cinese di acquistare le attrezzature necessarie per produrre chip all’avanguardia. Una presa d’atto del fatto che le logiche di natura strategica – la minaccia del rivale sistemico cinese – superano quelle di carattere commerciale, il motivo per cui Tokyo e Amsterdam hanno resistito finora. L’obiettivo a cui si sono allineati è colpire il settore del supercalcolo cinese, che a sua volta sostiene l’intelligenza artificiale e le altre tecnologie alla base della tecno-autocrazia.

Da parte sua, Pechino ha appena presentato all’Organizzazione mondiale del commercio un’istanza sui controlli alle esportazioni Usa. In un comunicato il Ministero del commercio cinese ha dichiarato che le restrizioni minacciano la stabilità della catena di approvvigionamento globale e che la giustificazione americana  – sicurezza nazionale – è dubbia. Nel frattempo, riporta Reuters, Pechino sta pensando alle contromisure – sotto forma di un maxi-pacchetto da oltre mille miliardi di yuan, o 143 miliardi di dollari, da destinare alla propria industria nazionale dei semiconduttori nei prossimi cinque anni sotto forma di sussidi e sgravi fiscali.

La somma fa impallidire anche i fondi da cinquanta e più miliardi che Ue e Usa stanno approntando per le proprie industrie dei semiconduttori. La maggior parte, svelano le fonti di Reuters, sarebbero usati per garantire un 20% di sconto sull’acquisto di macchinari per la fabbricazione di chip – un chiaro segnale della dipendenza cinese dalla tecnologia occidentale in questo campo, e dalla paura, da parte di Pechino, che Washington e alleati riescano a strozzare la crescita del comparto strategico. L’autosufficienza tecnologica nel campo dei semiconduttori è un obiettivo principe nella strategia quinquennale di Xi Jinping, che attribuisce a questa industria un’importanza pari allo sviluppo della bomba atomica.

Secondo diversi analisti, lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori cinesi potrebbe arrestarsi senza i macchinari litografici in questione – togliendo ossigeno alle mire egemoniche del regime cinese. Motivo per cui Pechino ha riunito le maggiori industrie e i migliori istituti di ricerca del Paese per sviluppare una strategia domestica e ridurre la dipendenza dai chip esteri, obiettivo di Xi dal 2012. Nel mentre, avvertiva Tokyo, le sanzioni occidentali – anche se concordate tra alleati – potrebbero non avere effetti di lunga durata sullo sviluppo cinese dell’intelligenza artificiale, che oltre alla potenza di calcolo si nutre di immense quantità di dati. Cosa che al regime non manca.

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