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Cosa aspettarsi dalla Cina di Xi. Scrive Stefanini

L’Italia ha interesse a dialogare con la Cina nei termini più cooperativi e costruttivi possibile. Ma la presidente del Consiglio sa che il salto di qualità della nostra presenza nel Pacifico non sarà il suo viaggio. È l’accordo Uk-Italia-Giappone su Tempest, un segnale forte industriale, di alta tecnologia e di sicurezza fra Atlantico e Pacifico. Fra Paesi democratici, dove economia e politica vanno a braccetto. L’analisi dell’ambasciatore Stefanini

Xi Jinping incassa il terzo mandato e a Pechino inizia la processione europea. Olaf Scholz si precipita quando si stanno ancora rimettendo a lucido i locali dopo il XX Congresso. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel è atterra mentre i cinesi protestano per i lockdown Covid. Saggiamente, Emmanuel Macron rinnova prima i voti dei due secoli e mezzo di alleanza franco-americana con visita di Stato a Washington. Sarà a Pechino il 3 gennaio. Giorgia Meloni è stata invitata dal Presidente cinese dopo l’incontro di Bali. Sono inviti che non si rifiutano. Ma adelante con juicio. La conferma di Xi Jinping alla presidenza della Cina – una formalità dopo quella a Segretario Generale – non avverrà prima di marzo. Intanto è importante capire in che direzione sta andando la Cina, all’interno e sullo scacchiere internazionale.

Gli autocrati imprimono la propria personalità su un’intera nazione, grande o piccola. Finché durano naturalmente. Ma finché durano è con loro che bisogna fare i conti. La Russia di oggi è la Russia di Vladimir Putin non quella di Leo Tolstoj o di Pyotr Ilyich Tchaikovsky – la cultura merita il rispetto, la politica no, come ha osservato Ursula von der Leyen alla Prima della Scala. La Cina è la Cina di Xi Jinping. Cosa aspettarsi?

Poco. Poco non solo per Italia, Europa e l’Occidente. Poco per la comunità internazionale. Molto per la Cina. Forse. Xi Jinping ne vuol fare la maggior potenza mondiale entro meta’ secolo. Il forse è d’obbligo per due morivi. Per i costi che impone ai cinesi – crescente perdita di libertà individuale grazie ai sempre più sofisticati strumenti di controllo elettronico. Perché ha rispolverato il modello ideologico leninista. I precedenti, compresi quelli cinesi come il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale, sono fallimentari. La Cina è arrivata al rango attuale grazie alle sane iniezioni di capitalismo, pur guidato, di Deng Xiaoping e dei suoi successori. Fino a Xi, che torna a un maoismo 2.0 di centralizzazione del potere e supremazia della politica. Vedremo se gli arriderà la fortuna economica che invece sfuggì a Mao Zedong.

La ricetta Xi non promette gran sollievo al resto del mondo. Per un grande Paese come la Cina l’ambizione al primato mondiale è legittima. Non il come Xi Jinping mostra di volerla perseguire. Pur senza ricorrere alla brutalità aggressiva di Vladimir Putin, Xi subordina sistematicamente la stabilità internazionale agli interessi nazionali. Pechino l’incrina – con le manovre intorno a Taiwan, con le pretese marittime in contrasto con tutti i vicini, con le connivenze con la Corea del Nord – senza spaccarla come fa Mosca in Ucraina (con risultati disastrosi che possono aver contribuito a dissuadere dal seguirne l’esempio con Taiwan – almeno per ora). Non si dà cura di tutelarla. La Cina abdica alle responsabilità di grande potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu. Utilizza il diritto di veto per tornaconto nazionale o per status o per contrappeso agli Stati Uniti. La guerra ucraina è cartina di tornasole: qualche buona parola, ma Pechino non muove un dito per farla finire.

Col terzo mandato in tasca Xi Jinping comincia a mostrare dove va la “sua” Cina. All’interno, la meta è la non-democrazia e il potere, del partito e personale. Pugno duro contro qualsiasi dissidenza, economia subordinata alla politica sperando che riprenda a tirare a pieno ritmo. La marcia indietro sullo zero Covid non è una svolta democratica. È una concessione tattica per disinnescare una protesta che diventava destabilizzante per il regime. Mossa di buon senso considerate anche le disastrose conseguenze economiche dei continui lockdown.

La politica estera si articola in tre direzioni. L’amicizia senza limiti con la Russia rimane in piedi purché non faccia danni alla Cina. La Russia può fare quello che vuole in Ucraina ma non deve valicare la linea rossa dell’uso dell’arma nucleare e non può compromettere la macchina dell’economia mondiale. La globalizzazione zoppica già abbastanza e la Cina ne ha ancora bisogno. Pechino non verserà certo lacrime se Mosca diventa sino-dipendente per esportare gas e petrolio e perde terreno in Asia centrale – a proprio vantaggio; o se Usa, Ue e Nato si svenano nel sostenere Kiev dall’aggressione russa. Chi scrive sperava in un intervento di Xi per far venire a più miti consigli l’amico Vladimir. Rischia di rimaner deluso. Ma spes ultima Dea.

La Cina, pertanto, non molla la Russia. Tenta però di presentare un volto internazionale conciliante, in evidenza al G20 di Bali. Dove Xi Jinping ha smussato le tensioni con gli Usa e concordato con Joe Biden di riaprire il dialogo bilaterale, senza cedere un millimetro di sostanza – come non l’ha ceduto Biden. Il recupero dell’Europa passa da Berlino e altre capitali, fra cui Roma, visto che con un Parlamento ostile e la Commissione imbarcata in una lista legislativa anti-cinese, l’Ue è una sponda senza speranza. Terzo, la Cina guarda al “Resto” cioè ai grandi Paesi emergenti che non vogliono essere né con l’Occidente né con la Russia. Mentre gli europei, a turno, si recano in pellegrinaggio a Pechino, Xi Jinping va a Riad ricevuto da Mohammed bin Salman col tappeto rosso del triplice vertice: con Arabia Saudita, Lega Araba e Consiglio del Golfo. Stesso trattamento riservato sei anni fa a Donald Trump. Fra autocrati, o aspiranti tali, ci si intende facilmente.

Giorgia Meloni che non lo è deve sapere con chi avrà a che fare quando andrà a Pechino. Visita da farsi. L’Italia ha interesse a dialogare con la Cina di Xi nei termini più cooperativi e costruttivi possibile. Ma la presidente del Consiglio sa che il salto di qualità della nostra presenza nel Pacifico non sarà il suo viaggio. È l’accordo Uk-Italia-Giappone su Tempest, un segnale forte industriale, di alta tecnologia e di sicurezza fra Atlantico e Pacifico. Fra Paesi democratici, dove economia e politica vanno a braccetto.



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