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Cuneo e Sud, perché Confindustria non digerisce la manovra Meloni

Il presidente degli industriali ascoltato in parlamento. Basta con i taglietti, sul costo del lavoro serve usare l’accetta altrimenti il Paese non riparte. Niente trucchi sul Pnrr, marciare spediti. E sul Mezzogiorno…​

Sul costo del lavoro il governo di Giorgia Meloni poteva fare di più, doveva, e invece si è fermato a qualche taglietto. Confindustria è tornata a dire la sua sulla prima manovra targata Fratelli d’Italia, 35 miliardi di potenza di fuoco con baricentro inflazione. Difficile che si potesse fare di meglio, almeno senza dare una ulteriore sgasata sul deficit, che già nel 2023 sarà del 4,5%. Però le imprese volevano qualcosa in più, più coraggio su quella che è da sempre la madre di tutte le battaglie per gli industriale, la riduzione della differenza che c’è tra quanto il datore di lavoro paga i dipendenti e quanto questi effettivamente percepiscono in busta paga.

IL CORAGGIO CHE SERVIVA

Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, è stato audito alla Camera in occasione del consueto ciclo di interventi delle parti sociali che precede l’esame vero e proprio della ex Finanziaria. Primo appunto. “Serve un taglio del cuneo di almeno 4 punti perché abbia un effetto significativo: troppe volte nei decenni alle nostre spalle piccoli tagli di 1 o 2 punti non hanno avuto alcun effetto. Nel 2021, il cuneo in Italia è stato pari al 46,5% del costo del lavoro, uno dei più elevati tra i paesi avanzati (la media dell’Eurozona è al 42%)”, ha subito attaccato il leader degli imprenditori.

E oggi, secondo Bonomi, “che l’inflazione è a doppia cifra e la bolletta energetica è altissima, sarebbe la via migliore per mettere subito nelle tasche dei lavoratori molto più reddito disponibile di quanto non avvenga con la logica dei micro-tagli e dei micro-sussidi su bollette, carburante e affitti”. Certo, ci sono i soldi da reperire e quelli non sono molti. Ma a viale dell’Astronomia la pensano diversamente. Le risorse per “un taglio deciso al cuneo contributivo e per una seria riforma dell’occupabilità ci sono. “Per trovarle siamo convinti che basterebbe rimodulare qualche punto percentuale di allocazione degli oltre mille miliardi di spesa pubblica superati in questo 2022, senza creare deficit aggiuntivo”. Insomma, aggredire la spesa pubblica improduttiva.

La proposta di Confindustria in tal senso è nota: “un taglio dei contributi di 16 miliardi sui lavoratori dipendenti con redditi fino a 35 mila euro, due terzi a beneficio dei lavoratori e un terzo dei datori di lavoro. In questo modo, il lavoratore che guadagna 35 mila euro avrebbe un beneficio di 1.223 euro e il cuneo scenderebbe al 42,5%, avvicinandosi a quello medio dell’eurozona (42%)”.

ALLARME MEZZOGIORNO

Ma la ramanzina a Palazzo Chigi non è finita qui. Bonomi ha rincarato la dose, spiegano in commissione Bilancio che “per quanto riguarda le imprese, avanziamo perplessità. Nella legge di Bilancio non si prevede un congruo rifinanziamento per la legge Sabatini, nessuna proroga del credito d’imposta per la formazione 4.0, nessuna modifica del dimezzamento nel 2023 del credito d’imposta sugli investimenti in beni strumentali 4.0, nessun fondo per il made in Italy, nessun rafforzamento per gli Ipcei, i grandi progetti di ricerca europei per l’autonomia tecnologica di grandi filiere industriali”.

E, ancora, “nella versione giunta alle Camere non c’è la proroga del credito d’imposta per gli investimenti al Sud. Non possiamo nascondere di essere preoccupati dalla mancata proroga del credito d’imposta Mezzogiorno sui beni strumentali e del credito d’imposta Zes, che insieme alla decontribuzione Sud hanno sostenuto la tenuta produttiva del Mezzogiorno”.

PNRR IN MARCIA

Non poteva mancare nelle valutazioni di Confindustria il Pnrr. Sempre più terreno di scontro con l’Europa, visto che Bruxelles non vuole sentire parlare di revisioni del piano, anche con l’inflazione alle stelle. Occorre una “rigorosa attuazione del Pnrr, essenziale per avere la credibilità necessaria sia a ottenere le indispensabili rimodulazioni del Piano imposte dall’emergenza bellica, sia a giocare in modo efficace la partita cruciale della riforma della governance economica europea”.

E sul Pnrr “evidenziamo che il tempo stringe rispetto a obiettivi e traguardi di fine anno: tra questi, l’attuazione della legge sulla concorrenza, tassello basilare, e peraltro non rinviabile, per modernizzare il Paese, nonché la prosecuzione dell`azione di semplificazione di norme e procedimenti amministrativi necessaria per velocizzare gli investimenti. Non vorremmo che per effetto dello spacchettamento di deleghe all’atto della formazione del governo subentrino problemi per la Cabina di regia del Pnrr, che deve essere pronta a interventi di sussidiarietà dall’alto in caso di ritardi conclamati nell’attuazione di milestone e target del piano, dei bandi e delle gare da parte delle Autonomie”. Messaggio chiaro.



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