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Il cripto-flop segna la fine della blockchain? Krugman contro Solomon

Krugman Solomon

Il 2022 è stato un anno brutale per il criptoverso. Per il Nobel Krugman, potrebbe essere la fine naturale di una tecnologia essenzialmente inutile. Ma per il ceo di Goldman Sachs Solomon, le potenzialità della blockchain sono ancora tutte da implementare – a patto che le maneggino gli “adulti”

Lo spettacolare crollo di Ftx – la seconda piattaforma di scambio di criptovalute più grande al mondo, che fallendo ha lasciato un buco da miliardi di dollari – ha catturato l’attenzione del criptoverso e degli osservatori del settore. È stato un colpo durissimo per l’ecosistema delle criptovalute, che nel 2021 ha sfiorato 3 mila miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato e oggi vale meno di 800 miliardi. Intanto continuano a cadere realtà nate e cresciute nel comparto della cripto-finanza, vittime di quello che è stato definito l’inverno delle crypto.

Può darsi che la mancanza di regolamentazione abbia avuto un ruolo non indifferente nel destino del settore. Ma in sottofondo, nel campo dell’economia reale, grandi realtà come il colosso dei trasporti Maersk e la Borsa australiana hanno annunciato la fine dei loro progetti blockchain con molto meno clamore. Si trattava di tentativi ben finanziati di sfruttare i punti di forza teorici di questa tecnologia (tracciabilità, trasparenza e incompromettibilità dei dati), progetti che avrebbero dovuto calare nel “mondo vero” queste architetture digitali. Ma si sono risolti in nulla di fatto e milioni di dollari bruciati.

Scrivendone sul New York Times, il Nobel per l’economia Paul Krugman ha ricordato le parole di Tim Bray, ex manager di Amazon Web Services, sul perché l’azienda avesse scelto di non implementare un proprio protocollo blockchain: non trovava una risposta diretta alla domanda: “che utilità ha?”. Il punto, sostiene Krugman (scettico di lungo corso sul criptoverso), è che stiamo finalmente assistendo al disfacimento di quella che è sempre stata una tecnologia barocca. “Senza dubbio in molti continueranno a insistere sul fatto che non [ci] ho capito nulla. Ma in realtà sembra che non ci sia mai stato qualcosa da capire”.

La promessa di libertà finanziaria, di disintermediazione delle banche e del sistema zero-trust alla base delle criptovalute è stata messa a dura prova dal crollo di Ftx e simili – assurte al ruolo di nuove “banche” del settore. Infatti non si deve assolutamente affidargli le proprie crypto: occorre tenerle in un portafoglio separato, risponderebbero i puristi. Più difficile trovare un contrappunto all’interrogativo posto da Krugman sulla reale utilità della blockchain. Le realtà private hanno effettivamente avuto poco successo nello sfruttare questa tecnologia, mentre quelle decentralizzate per ora hanno perlopiù prodotto versioni rudimentali di servizi obiettivamente meno sofisticati delle controparti proprietarie.

Il potenziale di tracciabilità e immutabilità dei dati devono ancora concretizzarsi in termini pratici lungo le catene di produzione. È vero, esistono programmi di messaggistica e salvataggio file decentralizzati (web3) che possono resistere alla censura – ma l’opera dei censori e la disattivazione dei link, in un sistema tecno-autoritario come quello cinese, tende a relegare queste soluzioni ai margini della società. E si tratta di guadagni prettamente immateriali, che non favoriscono l’adozione di massa.

Esistono anche soluzioni per potenziare le tecno-democrazie, per aumentare l’accountability dei governi o la tracciabilità in catene di valore di particolare interesse, al fine di evitare manipolazioni (elezioni? emissioni e carbon credits?). Oppure per la conservazione dell’identità digitale, che va sottratta al rischio di poter essere distrutta da un singolo attacco informatico e dunque potrebbe essere distribuita sulla incorruttibile blockchain. Ma finora sono soluzioni perlopiù teoriche: il privato non è convinto, il pubblico non esiste.

E tuttavia, secondo David Solomon – ceo di Goldman Sachs –, è troppo presto per suonare la campana a morto per il criptoverso. Dopotutto, ha scritto sul Wall Street Journal, l’invenzione della email non ha pensionato i servizi postali. Il banchiere crede che la blockchain sia una tecnologia promettente “se le si permette di innovare nelle giuste condizioni”. Ossia, a patto di lasciare al volante una realtà come Goldman Sachs. Il punto è che le giovani cripto-startup si sono scontrate con un mondo – la finanza – troppo complesso e per la loro portata, sostiene il ceo, che procede a fornire esempi su come Goldman Sachs sfrutti la tecnologia in questione.

“Utilizzando la blockchain, abbiamo costruito piattaforme di trading in cui i clienti possono negoziare tra loro in pochi minuti. Riducendo il tempo di elaborazione di ogni operazione, da ore o addirittura giorni, stiamo liberando capitale che altrimenti rimarrebbe bloccato in un limbo. La scorsa settimana, utilizzando la nostra nuova piattaforma di tokenizzazione, abbiamo organizzato un’obbligazione digitale biennale da 100 milioni di euro per la Banca europea per gli investimenti insieme ad altre due banche. Il tutto basato su una blockchain privata. In genere, una vendita di obbligazioni come questa richiede circa cinque giorni per essere regolata. La nostra è stata regolata in 60 secondi”.

E ancora, scrive Solomon, la banca d’investimento sta “studiando come rendere il sistema finanziario più trasparente” utilizzando gli smart contracts – contratti auto-esecutivi le cui regole e i cui termini di negoziazione sono scritti direttamente nel codice del programma, che “gira” sulla blockchain. “Sono un’arma a doppio taglio: essendo automatici, non possono essere facilmente modificati. Ma se usati in modo responsabile, possono ridurre il rischio che una delle parti non mantenga la sua parte dell’accordo e creare ancora più fiducia nel sistema finanziario”.

Infine, l’accessibilità. “Supponiamo che siate un piccolo investitore individuale e vogliate partecipare a un fondo di investimento immobiliare. Oggi ci sono notevoli ostacoli alla partecipazione, come ad esempio importi minimi di investimento per entrare e lunghi periodi di attesa per uscire. Con la tokenizzazione si potrebbero acquistare frazioni di singoli edifici e venderli quando si vuole: gli investimenti immobiliari non sarebbero più appannaggio degli ultra ricchi”.

Questi, conclude Solomon, sono i vantaggi di avere istituzioni finanziarie regolamentate che sviluppano applicazioni blockchain. “Poiché siamo abituati a standard elevati di supervisione normativa, possiamo collaborare con i regolatori e i responsabili politici per trovare il giusto equilibrio tra regolamentazione e innovazione”. Dunque l’inverno crypto non deve distrarre gli investitori dalle opportunità che la blockchain potrebbe serbare. Tocca al 2023 dimostrare chi tra Krugman e Solomon ci abbia veramente visto lungo.

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