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L’Italia nell’economia di guerra e di pace. Il discorso di Guido Crosetto

Il ministro della Difesa è intervenuto al premio “Le ragioni della Nuova Politica”, ecco alcuni estratti del suo discorso. “Siamo davanti a una crisi diversa da tutte le altre. Non possiamo smettere di aiutare il popolo ucraino, scegliere di schierarsi con un altro blocco sarebbe stata una cattiva idea e non avrebbe influito sull’inflazione che colpisce tutti. Dobbiamo ritrovare il senso di comunità e la fiducia nelle capacità degli italiani”

Nella Sala Vanvitelli dell’Avvocatura generale dello Stato si è tenuta la XIX edizione del premio “Le ragioni della Nuova Politica”, presieduto da Sara Iannone e presentato da Paolo Petrecca, direttore di RaiNews24, con Rosanna Vaudetti e Camilla Nata.

L’incontro è stato introdotto dai saluti dell’Avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, al quale è seguito l’intervento di Guido Crosetto, ministro della Difesa, dal titolo: “L’Italia nell’economia di guerra e di pace”. Crosetto ha scelto di parlare a braccio, partendo dal nome del premio. “Non so se esiste una ‘nuova’ politica, termine che sento da 40 anni, ma so che esiste la politica con la P maiuscola, come la scrivete voi nel titolo. A che serve la politica? Ad affrontare situazioni complesse. Se la burocrazia può adottare dei processi per gestire le questioni ordinarie, i cittadini demandano alla politica il compito di affrontare problemi spesso mai accaduti prima”.

Per il ministro, “la fase che stiamo vivendo ora è senza precedenti. Erano 70 anni che non vivevamo una crisi economica di queste dimensioni. E mai legata a un’inflazione così forte: quest’anno la ricchezza degli italiani, di qualunque ceto sociale, è diminuita del 12%, senza che fosse responsabilità di nessuno. In passato, in l’inflazione si è accompagnata a periodi di grande crescita, cosa che invece manca in questo frangente. Una crisi aggravata dalla guerra più grave degli ultimi decenni, in termini economici: durante il conflitto nei Balcani non ci sono state conseguenze così dure sul nostro sistema produttivo”.

Ha poi ricordato il suo intervento in parlamento: “Ho parlato alle camere ma non tutti hanno colto il mio messaggio. Siamo su un crinale, tra fare cosa è giusto e i rischi che corri facendo quello che è giusto. Sappiamo che il nostro impegno, aiutare una nazione aggredita a difendere il suo territorio, è giusto. Aiutare gli ucraini a resistere, ovviamente, ha conseguenze sulla nostra economia. Il commento da bar non sfugge alla politica: ‘questa non è la nostra guerra, pur lontana ne stiamo pagando il conto’. Ma a queste persone dico: se avessimo scelto un’altra strada, avessimo aderito a un altro blocco, invece di agire insieme all’Europa – cosa che io non condivido – comunque non avremmo lasciato fuori dai nostri confini i prezzi del gas, i problemi con le materie prime. Non c’è Nazione in grado di determinare da sola i prezzi del mercato globale o le catene di approvvigionamento”.

E qui sta il grande cambiamento di questa fase storica. “Ci siamo accorti per la prima volta della debolezza delle organizzazioni sovranazionali che abbiamo costruito in questi anni. È andata in crisi l’Onu, cui avevamo demandato la risoluzione dei conflitti internazionali. Non solo le guerre, che sono la degenerazione del conflitto. L’Onu non è riuscita a intervenire in questi anni sulle tensioni tra Russia e Ucraina che hanno preceduto l’invasione. E l’Europa, che è grande in alcuni settori, soffre di nanismo in Difesa e politica estera. A chi mi chiede di creare l’Europa della Difesa, spiego che se iniziassimo ora a costruirla, neanche in 10 anni avremmo un risultato sufficiente ad affrontare una situazione come quella di oggi”.

Le emergenze cambiano, i governi cambiano strategia. “Pochi giorni fa ho incontrato il ministro della Difesa indonesiano, e mi ha raccontato che tra i suoi nuovi compiti c’è quello di costruire riserve strategiche alimentari e dei materiali critici. Il governo si è posto un nuovo obiettivo, di essere preparato davanti a crisi improvvise, e l’ha affidato al ministro della Difesa. Questo vi dà l’idea di come il mondo sta cambiando”.

Parlando di economia di guerra, non poteva mancare un riferimento ai chip: “Alcune nostre grandi aziende hanno i magazzini pieni di merci che non possono vendere perché mancano i semiconduttori che innervano i loro prodotti. È un esempio di come il mondo è cambiato radicalmente rispetto a tre anni fa, non dieci. Cambiano i settori che sono considerati strategici dai Paesi, e tutte le aziende devono ripensare la loro produzione. Il teorema che ha dominato negli ultimi 30 anni, ovvero fabbricare le cose dove costa meno farle, non vale più”.

Sull’invio di forniture militari all’Ucraina, ha spiegato che l’unico modo di affrontare le crisi è fare scelte in base alle possibilità che ci troviamo di fronte. Oggi, “pur nelle nostre difficoltà sociali ed economiche, è il momento di aiutare chi rischia di non sopravvivere. Mentre ottenevo uno strumento che spero di smettere di usare il prima possibile, ovvero l’autorizzazione all’invio di armi all’Ucraina, ho posto il tema della costruzione della pace, con le due parti che si siedono a un tavolo, ma con le regole d’ingaggio che devono essere scritte dagli invasi, non certo dagli invasori”.

Le conclusioni tornano al senso della politica, che è “la parte del Paese che deleghiamo a guidarci in questo mondo. Non questo o un altro governo, non mi sentirete mai ridurre l’azione politica a un partito. Sono rientrato nelle istituzioni e ho trovato disillusione, distacco, individualismo, rassegnazione. Invece la nostra rivoluzione culturale deve partire da qui: o il percorso di salvezza è collettivo o non esiste salvezza. Dobbiamo essere consapevoli di partecipare a un progetto più alto, più alto anche della politica, dobbiamo mettere in moto le migliori capacità degli italiani. Sono moltissime, e ogni giorno ne scopro una nuova. Non dobbiamo dimenticare che quest’anno l’Italia è cresciuta più di Francia e Germania pur avendo avuto molti meno sussidi. Con i denti e con le unghie questo Paese è in grado di superare anche le fasi più dure. Non esiste una risposta alla domanda ‘cosa succederà adesso?’. Esiste un atteggiamento, quello di sentirsi comunità e avere fiducia nelle nostre capacità”.



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