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Tutto quello che non funziona nelle politiche energetiche europee. Parla Clò

“La domanda di greggio resta resiliente e nel terzo trimestre salirà oltre i 100 milioni. Per cui nei prossimi mesi e soprattutto quando, dal 5 febbraio, partirà l’embargo per i prodotti petroliferi, l’Europa potrebbe avere delle difficoltà a rifornirsi sul mercato internazionale. Hsbc non finanzierà la ricerca di idrocarburi? Mi viene in mente quella frase di Moretti, continuiamo pure a farci del male”. Conversazione con l’ex ministro dell’industria

Ci sono troppe contraddizioni nelle politiche energetiche europee, dice a Formiche.net l’ex ministro dell’industria Alberto Clò, figura esperta e già presente nel cda di varie società quotate (Eni, Finmeccanica, Italcementi, Iren e ASM Brescia, Atlantia, Snam) che si chiede: cosa faremo dei tubi se dovesse avverarsi il crollo della domanda previsto da Bruxelles? Facciamo i rigassificatori che resteranno vuoti? Forse va ripensata la strategia a medio periodo e ricominciare a investire nel settore dell’estrazione. E ricorda che la crisi energetica non nasce dalla guerra ma esplode nella seconda metà dello scorso anno, prima dell’invasione russa.

Negli ultimi giorni di negoziazione, le notizie di una chiusura dell’oleodotto statunitense Keystone hanno causato variazioni dei prezzi del petrolio: quale lo scenario?

Lo scenario petrolifero al momento è consolante, nel senso che i prezzi si mantengono, ma comunque il problema del mercato petrolifero nei mesi a venire è l’effetto dell’embargo europeo al petrolio russo. L’obiettivo era quello di penalizzare le finanze russe, così da non poter alimentare la guerra: io penso che in realtà le finanze russe non sopporteranno un grande aggravio perché l’Europa aveva già in parte ridotto gli acquisti. L‘Europa importa greggio e prodotti petroliferi per un ammontare di oltre 2 milioni di barili di giorno e quindi a mio avviso il combinato disposto non produceva grandi contraccolpi.

Quindi?

La questione è come sostituire il tutto: ho l’impressione che la Commissione, quando decide gli embarghi, non ne valuta assolutamente gli effetti quindi la Russia non subirà grandi contraccolpi e l’Europa avrà difficoltà a sostituire quell’importazione. Per contro, invece, anche le ultime proiezioni dell’Agenzia di Parigi dicono che la domanda resta resiliente e nel terzo trimestre salirà oltre i 100 milioni. Per cui nei prossimi mesi e soprattutto quando, dal 5 febbraio, partirà l’embargo per i prodotti petroliferi, l’Europa potrebbe avere delle difficoltà a rifornirsi sul mercato internazionale. Il che comporterà un’evoluzione dell’offerta internazionale: gli stessi Paesi Opec hanno difficoltà a rispettare i livelli produttivi.

Cosa potrebbe accadere?

Non è escluso che nei prossimi mesi ci possa essere un accrescimento della tensione sul mercato petrolifero internazionale e quindi sui prezzi. In questa delicata situazione qualsiasi evento come quello che lei richiamava all’inizio riguardo agli Stati Uniti può costituire un un ulteriore fattore di tensione.

Cosa pensa dell’annuncio della banca inglese Hsbc che non finanzierà nuovi giacimenti di gas e petrolio?

Mi viene in mente quella frase di Moretti, continuiamo pure a farci del male perché delle due l’una: o si crede agli scenari dell’Agenzia per cui la domanda crollerà nei prossimi anni entro il 2030 e quindi aspettiamo a investire, ma se poi non si avvera questo crollo? Il caso dei rigassificatori va osservato con attenzione, anche perché in Italia si parla di raddoppio del TAP senza dimenticare il collegamento tra Algeria e Sardegna. Quindi si fanno nuovi investimenti e si devono concludere nuovi contratti di importazione da fornitori come l’Algeria, passando dai fornitori americani di gas liquefatto. Ma poi se si va a vedere quel che sostiene l’Europa cosa faremo dei tubi che resteranno vuoti in caso di crollo della domanda? Facciamo i rigassificatori che resteranno vuoti? Quindi c’è una contraddizione tra quel che sembra essere necessario e nuovi contratti di importazione per sostituire il gas russo: il rischio è che questi investimenti si traducano in sprechi di denaro.

Cosa potrà accadere dopo che la l’azienda energetica cinese CNOOC ha previsto un aumento del 7% delle importazioni di gas naturale del paese per il prossimo anno?

Una delle ragioni della flessione dei prezzi del gas negli ultimi mesi è stata la bassa crescita della Cina, che quest’anno dovrebbe crescere del 2,5% o 3%. Il tutto è dovuto al ritorno del duro lockdown, ma visto che dopo le proteste si è ridotta questa chiusura, ci potrebbe essere una ripresa dell’economia cinese, della domanda e quindi anche delle importazioni di gas. Se la Cina tornerà sui mercati i prezzi sicuramente ne risentiranno, perché la crisi energetica non nasce dalla guerra ma esplode nella seconda metà dello scorso anno, prima ancora della guerra.

Da cosa in particolare?

Dalla scarsità di capacità produttive di metano: le economie crescono insieme, quindi la forte crescita del reddito fa crescere la domanda di energia, ma si va a sbattere contro una scarsità di offerta: quindi la crisi energetica è una crisi strutturale, a meno che non si immagini che la recessione tagli le gambe all’economia. Quindi se non si riprende a investire nell’asset minerario che ha visto gli investimenti dimezzarsi nell’arco di un decennio, da 800 miliardi a 350, la crisi sarà strutturale e perdurerà. E non è affatto vero, almeno nel mio Paese, che la famosa panacea delle rinnovabili salverà tutti.

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