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Franco Frattini, un grande “uomo del silenzio”. Il ricordo di Tivelli

L’ex consigliere parlamentare Tivelli ricorda di quando, nel primo governo Berlusconi, Monorchio propose Frattini, 37enne, come segretario generale della Presidenza del Consiglio. Aveva vinto due concorsi in successione prima da avvocato dello Stato e quindi da consigliere di Stato, di una delle migliori covate di civil servant che ha accompagnato la storia della Repubblica, quella tendenzialmente di area socialista, sotto l’ala intelligente, colta e raffinata di Giuliano Amato

Franco Frattini, purtroppo scomparso da presidente del Consiglio di Stato in carica alla giovane età di 65 anni, come emerge dai tanti ricordi, articoli di stampa, “coccodrilli”, relativi alla sua figura, è stato soprattutto un civil servant, o se vogliamo dirlo alla francese un grand commis d’état. Egli per molti versi, come tale, è stato un “uomo del silenzio”, anche quando incarnava importanti cariche come tra le altre quelle di ministro degli Esteri o di commissario europeo. Perfino in tali ruoli infatti non ha mai contribuito a quella sorta di “fiera del dichiarazionismo” (che pure lui vedeva e osservava), a quella “cicalecciocrazia”, quel confronto politico quotidiano che produce un suono che rimanda a quello delle cicale, continuo, ripetitivo, ma anche annoiante, fatto alla fin fine di un grande spreco di tempo e dichiarazioni.

Frattini, invece, quando ha dovuto incarnare ruoli politici non è stato mai un politico-cicala, ma un politico-formica, perché è sempre stato attento a studiare, ad approfondire, ad accumulare man mano il granaio del suo bagaglio personale, e del bagaglio collettivo di sani alimenti, ma risparmiando al meglio per la sua grande intelligenza sia le uscite pubbliche che le dichiarazioni. Ma qui voglio ricordare Frattini per un altro aspetto, credo molto meno conosciuto che riguarda proprio il civil servant, quello che da non molto tempo era stato un ottimo avvocato dello Stato e che era un ottimo consigliere di Stato.

Nel 1994, nei giorni che precedevano la formazione di quel governo Berlusconi che segnò in qualche modo la nascita della seconda Repubblica (non so in quale Repubblica siamo oggi…), che tante aspettative aveva generato, Silvio Berlusconi, che sarebbe stato a breve il presidente del Consiglio, e Gianni Letta, il suo preziosissimo e per molti versi indispensabile sottosegretario alla presidenza del Consiglio, chiesero con cortese insistenza ad Andrea Monorchio, all’epoca Ragioniere generale dello Stato, di fungere anche da segretario generale della presidenza del Consiglio. Come scritto nel nostro libro a quattro mani (“Memorie di un ragioniere generale dello stato. Tra scena e retroscena”, Rubettino) fra poco in libreria.

Lo stesso Monorchio pensò che per qualche ragione non era il caso di assommare le due cariche, pur avendo grande rispetto per il Presidente del consiglio e il suo sottosegretario. Dovette, quindi, declinare quell’offerta e nel declinare si permise di suggerire ai decisori politico istituzionali come persona che potesse incarnare meglio quel ruolo, il giovane (all’epoca aveva circa trentasette anni) Franco Frattini. Lo aveva conosciuto in precedenza in qualità di consigliere giuridico del presidente del Consiglio Giuliano Amato e in altre posizioni e aveva imparato a stimarlo ed apprezzarlo come capitò poi a me, soprattutto dal 1995, quando fungeva da ministro della Funzione pubblica nel governo Dini, e poi dal 2001, quando incarnò la stessa posizione nel Governo Berlusconi.

Franco Frattini era stato anche un “pulcino maturo”, avendo vinto due concorsi in successione prima da avvocato dello Stato e quindi da consigliere di Stato, di una delle migliori covate di civil servant che ha accompagnato la storia della Repubblica, quella tendenzialmente di area socialista, sotto l’ala intelligente, colta e raffinata di Giuliano Amato, specie in quanto sottosegretario alla presidenza del governo Craxi, allevata da Nino Freni capo dell’ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio sotto i governi socialisti, così come lo era stato tra gli altri Antonio Catricalà.

Per entrambi però l’impronta in qualche modo socialista si accompagnava ad una attenta e rigorosa imparzialità in quanto veri civil servant. Ricordare Franco, spentosi lentamente per una grave malattia mentre incarnava la figura giuridico-istituzionale e imparziale di Presidente del consiglio di Stato, è giusto che diventi anche un modo per ricordare il ruolo di questi “uomini del silenzio”, forse oggi meno autorevoli e significativi di ieri, ma che per fortuna sono diffusi nelle istituzioni e nell’alta amministrazione, non so se ora con un ruolo più limitato di prima, ma in ogni caso indispensabili per l’andamento degli organi fondamentali di vertice della Repubblica.

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