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Rassicurante e istituzionale. Cosa non deve sbagliare Meloni secondo Carone

Gli appunti di Giorgia come connessione sentimentale con gli elettori, e una comunicazione rassicurante e istituzionale. Così la leader di Fratelli d’Italia ha scelto di parlare agli italiani, ma basterà? A che rischi va incontro secondo Martina Carone, Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova

Alla festa per i 10 anni della sua forza politica, Fratelli d’Italia, la presidente del Consiglio, nonostante toni e postura che incarnano il ruolo che ora ricopre, ha fatto intravedere la politica che parla alla pancia delle persone, quella che ai comizi non usa un tono di voce rassicurante o posato. “Per fortuna ogni tanto non è un’automa, ma la Giorgia Meloni che è passata dal 4% al quasi 30% di oggi”, ha osservato Martina Carone, Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova, a Formiche.net, provando a ripercorrere le tappe comunicative della premier italiana. Secondo l’esperta, a guardare bene non ci sono grandi elementi innovativi con il passato, e anzi si prosegue con quanto già avviato dalla leader di Fratelli d’Italia in campagna elettorale: cercare di parlare in modo rassicurante e istituzionale agli italiani e al suo elettorato. Gli errori da non commettere? “Risultare non credibile, rimanere incagliata nelle dinamiche della politica e le gaffes degli alleati…”.

Partiamo dagli appunti di Giorgia. Non ricordano un po’ le chiacchiere dal caminetto di Roosevelt?

Sì, e così come molte altre iniziative di comunicazione raccontano di leader politici che han capito la connessione sentimentale che serve avere con l’elettorato una volta eletti. Uno dei più grandi errori dei politici che ottengono il ruolo per cui si sono candidati e quello di abbandonare il contatto con gli elettori per dedicarsi pienamente all’amministrazione e alla gestione della quotidianità, dimenticandosi di coltivare quel rapporto con chi lo ha votato. Evidentemente questa iniziativa, che non è nuova ma che ha una forma e una cornice molto legata agli impegni, alle cose da fare, all’agire, rientra in questa dinamica strategica.

Cosa è cambiato, se è cambiato, dalla nomina a presidente del Consiglio?

Dipende da che punto di vista si valuta il cambiamento. Una parte di questo era già visibile durante la campagna elettorale, in cui Giorgia Meloni aveva già impostato la sua comunicazione su un taglio rassicurante e molto istituzionale. Da questo punto di vista, anche la scelta di bloccare i festeggiamenti la notte del voto ci racconta di una Meloni che ha concentrato il proprio sforzo sul mostrarsi credibile e, come diceva il suo slogan, pronta. Evidentemente con la nomina e l’approccio verso la scrittura e costruzione della legge di bilancio la presidente del Consiglio ha dovuto anche confrontarsi con le complessità dello stare in maggioranza, ma ad oggi sembra essere comunque in grado di padroneggiare i tempi e i linguaggi tipici del passaggio da elettorale a istituzionale.

Meloni è la prima donna presidente del Consiglio, in che modo questo cambia le sue scelte comunicative, rispetto ai passati presidenti?

In realtà Giorgia Meloni, dopo un primo periodo in cui ha rivendicato questo primato e sottolineato la straordinarietà dell’evento, ha cercato di limitare il suo genere a pochi momenti simbolici, come la presenza della figlia Ginevra al giuramento. Nonostante un momento di rivendicazione e di esaltazione come un risultato in termini progressisti e di riappropriazione degli spazi istituzionali da parte delle donne, in realtà Meloni non ha mai proposto un tipo di leadership femminile che uscisse da alcune dinamiche che vedono le donne che entrano in politica dover rispondere ad alcuni attacchi o punti di debolezza percepiti.

Ad esempio?

Ad esempio la competenza, su cui lei stessa ha insistito molto, la capacità di gestire le emozioni, a cui lei ha sempre risposto con la durezza, la determinazione e la capacità di prendere decisioni difficili, la capacità di riequilibrare la propria vita privata con il profilo pubblico, in cui le donne sono spinte a raccontarsi come sofferenti in questa difficoltà. La vera parità la raggiungeremo quando questa domanda e queste richieste verranno sottoposte anche a leader uomini. Ad oggi però non sembra che la elezione di Giorgia Meloni sia un passo avanti in questo termine, casomai dal punto di vista simbolico. Nonostante non sia una leadership di tipo progressista una bambina domani potrà dire di voler fare da grande la presidente del Consiglio.

Quali errori non si può permettere di commettere?

Il principale errore che Giorgia Meloni potrebbe fare è quello di non risultare credibile e di rimanere incagliata nelle dinamiche della politica. D’altronde lei stessa ha sempre cercato di dare maggiore spazio all’impatto simbolico della sua elezione e del suo governo più che alle grandi misure, di cui conosce gli intrighi ed eventualmente le conseguenze dal punto di vista del consenso. Contemporaneamente, un grande rischio che corre e che sta cercando di evitare con tutte le sue forze, è quello di trovare una opposizione più forte della propria maggioranza che sta cercando di limitare calibrando gli interventi e le forze politiche.

Come si sta comportando il governo, invece, in ambito comunicativo? Tra ricerca di visibilità e ruoli istituzionali.

Questa è una maggioranza in cui i rapporti di forza nelle forze che la compongono sono cambiati rispetto anche solo un anno fa. Questa dinamica porta a diverse conseguenze: da una parte, un ruolo inedito in cui Giorgia Meloni, king-maker della maggioranza, si trova a dettare l’agenda e a cercare di non scomodare e scontentare già alleati di governo. Dall’altra, gli alleati di governo che cercano di rivendicare il proprio ruolo e che cercano di massimizzare l’attenzione mediatica e non sul proprio operato. Questo meccanismo non è nuovo, legittimamente ogni leader politico cerca di ampliare la propria notorietà, il proprio consenso, e la propria presa sull’elettorato tradizionale e su quello potenziale portando avanti le iniziative politiche di bandiera. Ma non è neanche esente da gaffes, come ad esempio quella del ministro delle Infrastrutture dei trasporti Matteo Salvini che conta le vittime di Ischia senza averne il ruolo istituzionale.


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