Skip to main content

“La globalizzazione è quasi morta”. I chip di Tsmc in Arizona con Biden e Cook

Le frasi a effetto del fondatore di Tsmc, Morris Chang, durante l’annuncio dell’investimento da 40 miliardi a Phoenix, in Arizona, al fianco del presidente americano e al ceo di Apple. L’obiettivo della Casa Bianca è di staccarsi il prima possibile dalla dipendenza di Pechino sui chip e camminare con le proprie gambe. Il primo passo è stato compiuto

“La globalizzazione e il libero scambio sono quasi morti. Molte persone desiderano ancora che tornino, ma non credo che torneranno”. A cantare il requiem è Morris Chang, il fondatore della Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (Tsmc), parlando all’inaugurazione dello stabilimento della sua azienda a Phoenix, in Arizona. “Sono passati ventisette anni e [il settore dei chip, ndr] ha assistito a un grande cambiamento nel mondo, un grande cambiamento della situazione geopolitica”, ha continuato di fronte al presidente Joe Biden. Accanto a lui, l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, che ha annunciato come la sua azienda utilizzerà i microchip prodotti in Arizona.

Le parole di Chang riportano inevitabilmente allo scontro tra Stati Uniti e Cina sui semiconduttori, con Washington che sta cercando di minare le potenzialità della rivale con restrizioni serrate sull’export. Dal 1995, infatti, ne sono cambiate di cose. In quell’anno, Chang apriva il suo primo stabilimento negli Stati Uniti, a Camas nello Stato di Washington. Rispetto ad allora, spera che i risultati della nuova esperienza siano diversi. “Pensavo fosse un sogno realizzato, ma ci siamo imbattuti in problemi di costo, con le persone, culturali. Il sogno realizzato si è trasformato in incubo. Ci sono voluti diversi anni per riprendermi e ho deciso che avrei dovuto necessariamente rimandare il mio sogno”.

Questo nuovo sogno è costato la bellezza di 40 miliardi di dollari, tra gli investimenti più ingenti della storia americana. Allo stesso tempo, dovrebbe garantire un fatturato annuo di 10 miliardi. Tutto ciò grazie all’esperienza maturata dalla Tsmc e dal suo fondatore, che hanno fatto tesoro della brutta partenza. Invece che puntare alla luna, gli sforzi si sono concentrati sullo sviluppo e sulla produzione interna, abbattendo le spese ma continuando ad offrire la propria tecnologia a chi la richiedeva. Ancor meglio se a presentare richiesta sono le democrazie, con cui la TSMC ha detto di essere onorata di collaborare: una frecciata lanciata dritta su Pechino che non ha gradito.

La storia dell’azienda taiwanese, la più importante sul palcoscenico mondiale dei microchip, è infatti insita nella lotta tra americani e cinesi vista la sua essenzialità ai tempi d’oggi. Senza semiconduttori il mondo si blocca e, come abbiamo visto con la crisi innescata dal Covid-19, poi i dolori sono tanti e per tutti. Anche per tale ragione, Biden non poteva mancare a un evento come questo. “La produzione americana è tornata, gente”, ha affermato con orgoglio, testimoniata dalla bandiera a stelle e strisce che sventolava dietro di lui con la scritta “A Future Made in America Phoenix, AZ”. Portare la produzione direttamente sul suolo americano riduce infatti i tempi quanto i costi, ma permette anche di non dover bussare alla porta del nemico per chiedergli i suoi prodotti.

Per rimettere abbastanza vantaggio davanti a Pechino, l’amministrazione democratica ha varato una serie di provvedimenti e ha stilato una black list di aziende a cui i produttori americani non potranno più rivolgersi. Il motivo va ritrovato alla base delle critiche che Washington muove da tempo al regime cinese, accusato di varie violazioni dei diritti umani, nello Xinjiang e nel controllo della popolazione generale. Con quella tecnologia, pertanto, gli Stati Uniti temono di partecipare ai soprusi condotti dalla controparte cinese.

Questa linea sembra aver convinto anche qualcuno in Europa, forse anche per via delle pressioni arrivate da Washington. L’Olanda, infatti, ha deciso di seguire la stessa strada e starebbe effettuando dei controlli sulle apparecchiature da esportare in Cina. D’altronde i Paesi Bassi, insieme al Giappone, sono dopo gli Stati Uniti i principali fornitori mondiali di strumenti e know-how tecnologico con cui realizzare microchip. Non che sia una scelta compiuta a cuor leggero, visto che andrà inevitabilmente a discapito della sua Asml, che registra entrate dalla Cina pari al 15% di quelle totali. Tuttavia, avendo parte della sua produzione oltreoceano, l’influenza statunitense conterà parecchio.

“L’intero ecosistema dei semiconduttori è pronto a intensificare e lavorare insieme”, ha dichiarato Nikkei Asia Lisa Su, Ceo dello sviluppatore di chip Amd. È intervenuta a margine dell’evento di Phoenix, sottolineando l’importanza di mantenere salda la catena di approvvigionamento, una delle priorità della sua azienda – il crollo da Covid è costato all’export di Taiwan il 13,1% in meno. “Avere una capacità geograficamente più diversificata è davvero importante. Alla fine, quello che vogliamo fare è garantire che i nostri chip più importanti abbiano una supply chain resiliente”. Lo stesso che si è prefissata la Tsmc, che con il suo nuovo stabilimento ha aiutato Biden a raggiungere una vittoria importantissima.



×

Iscriviti alla newsletter