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Sussidi Usa, risposta comune o legge della giungla?

Il Consiglio europeo deve decidere cosa vuole fare per reagire alla sfida posta dalle sovvenzioni industriali statunitensi dell’Inflation Reduction Act. Imitare i sussidi di Washington? Il delicato equilibrio tra evitare la scomparsa dell’industria europea di fronte alla competizione americana e cinese e il mantenimento di un’economia di mercato. Sullo sfondo i molteplici interessi dei membri che compongono l’Unione europea

Esiste un consenso diffuso in Europa sul fatto che si debba trovare una risposta comune di fronte all’enorme programma di sussidi dell’amministrazione di Biden, che pone una seria minaccia alle industrie europee, soprattutto nel settore automotive. Il fatto è che, tanto per cambiare, i membri dell’Unione non riescono a trovarsi d’accordo su quale dovrebbe essere questa risposta.

Al vertice del Consiglio europeo di giovedì si è parlato di questo. Con il Presidente francese Emmanuel Macron che ha dichiarato che i leader dell’Ue hanno dato ai funzionari di Bruxelles un chiaro mandato per lavorare sulla risposta europea al pacchetto di sussidi verdi degli Stati Uniti. Invocando un piano industriale “Made in Europe”, Macron ha detto di voler utilizzare i fondi di REPowerEU – il piano dell’Ue per eliminare gradualmente i combustibili fossili russi – e aggiungere “nuovi strumenti nazionali ed europei”.

L’opzione che alla fine otterrà più credito è probabilmente questa. Imitare l’alleato transatlantico, elargendo sussidi alle imprese coinvolte, nel tentativo di riequilibrare la situazione tra Stati Uniti e Cina. La Francia è il principale sostenitore di una politica industriale centralizzata e spinge perché questa decisione venga adottata al più presto, prima dell’1 gennaio, quando entreranno in vigore alcune importanti disposizioni dell’Inflation Reduction Act, che fornirà $369 miliardi alle imprese green nordamericane.

I più freddi riguardo la soluzione dei sussidi sono i Paesi scandinavi, i quali temono che lasciare che siano i governo a premiare certi campioni aziendali sia una ricetta costosa per creare macchine inefficienti. Oltretutto, i membri meno ricchi temono che, in caso di piogge di sussidi statali, non riuscirebbero a stare al passo con la potenza finanziaria di Paesi come Francia e Germania. Ulteriore paura è che gli aiuti di Stato si trasformino in una corsa al protezionismo, mandando in frantumi il mercato unico europeo.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha suggerito mercoledì di allentare le regole di emergenza dell’Ue in materia di aiuti di Stato, in modo che le capitali europee possano versare più denaro pubblico alle industrie colpite involontariamente dal pacchetto di aiuti statunitensi. Ma anche qui, il problema sollevato dai Paesi più piccoli è che Germania tiri di nuovo fuori le proprie potenti armi fiscali. Se si vuole evitare una corsa ai sussidi con gli Usa, un fenomeno simile interno all’Ue avrebbe effetti deleteri per le economie comunitarie.

Esistono alternative. Von der Leyen ha recentemente proposto la creazione di un Fondo sovrano europeo, menzionato per la prima volta nel suo discorso sullo stato dell’Unione a settembre. Insomma, fare quanto non è stato fatto per la ripresa post-pandemica, creare un fondo comune. Tuttavia l’iniziativa incontrerà sicuramente l’ostilità dei Paesi cosiddetti “frugali”, coloro i quali godono già di ampi spazi di manovra fiscale, che vogliono prima esaminare i fondi esistenti.

Una serie di diplomatici ha espresso preoccupazione per l’iniziativa tardiva della von der Leyen sulle proposte, che non ha lasciato abbastanza tempo ai ministeri delle Finanze nazionali per preparare la loro posizione. Cattivo segno. In questo modo i Paesi dell’Ue si stanno già esprimendo in senso negativo rispetto alle proposte della presidente.

Vedremo come andrà a finire, probabilmente durante un Consiglio straordinario a febbraio, o in quello di marzo. Ad ogni modo, dopo avere tirato gli Stati Uniti per la giacchetta con il viaggio di Emmanuel Macron a Washington, i leader europei non sembrano vicini a un accordo che è però fondamentale se la nostra industria vuole continuare a competere in un mondo di competizione bipolare.


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