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Iran e Cina ai ferri corti mentre Xi torna dal Golfo

Frizioni tra Iran e Cina per la dichiarazione congiunta con cui Xi Jinping ha salutato i Paesi del Golfo. Per Bill Figueroa, esperto dei rapporti sino-iraniani del Centre for Geopolitics dell’Università di Cambridge, Pechino non si aspettava la reazione di Teheran, ma un distacco è in corso da tempo

L’Iran ha convocato il rappresentante diplomatico cinese a Teheran per esprimere il proprio disappunto su una dichiarazione rilasciata in occasione dell’incontro tra il presidente Xi Jinping e gli Stati arabi della regione.

Il leader cinese nella dichiarazione ha toccato un punto critico per la Repubblica islamica, citando le rivendicazioni emiratine su alcune isole contese. Può essere stato un incidente diplomatico? I cinesi sono stati incauti e non si aspettavano la reazione iraniana? Pechino — come già fatto utilizzando il proxy narrativo delle armi nucleari per mettere paletti all’invasione russa dell’Ucraina — sta cercando di sganciare la sua immagine anche da quella iraniana, mentre Teheran ha addosso i riflettori del mondo per le repressioni contro le proteste popolari?

Questa settimana Xi si è stato in visita in Arabia Saudita e ha incontrato anche i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Mentre si parla di un’accelerazione di processo specifici come l’acquisto di petrolio in yuan, la Cina è in generale intenzionata a stringere le relazioni e in particolare ad aumentare la cooperazione con quella regione.

Agli incontri è seguita una dichiarazione congiunta in cui è stata menzionata la questione di tre isole iraniane nel Golfo Persico come rivendicazione portata avanti dagli Emirati Arabi Uniti. Pechino come sempre non si è sbilanciata nel dare appoggio a un lato piuttosto che a un altro. Ma gli iraniani hanno visto come legittimata la posizione emiratina.

L’opinione pubblica iraniana ha mostrato una forte reazione una volta che la dichiarazione congiunta è stata riportata dai media persiani, accusando le autorità della Repubblica Islamica di essere così deboli da ritrovarsi un teorico alleato, la Cina, appoggiare sottilmente la rivendicazione degli Emirati Arabi Uniti — rivali iraniani. E questo ha indignato ancora di più la leadership.

Le tre isole, la Grande Tunb, la Piccola Tunb e Abu Musa, sono in disputa da quando, nel 1971, i britannici ritirarono le loro forze armate da quelli che oggi sono gli Emirati Arabi Uniti e l’allora Iran dello Shah inviò la marina iraniana a mettere in sicurezza le tre isole nel novembre dello stesso anno. Le forze iraniane rimangono sulle isole e solo Abu Musa ha una popolazione civile di alcune migliaia di persone. Quegli isolotti sono simboli che sommano insieme vari aspetti del valore geopolitico.

Nella dichiarazione rilasciata il 9 dicembre si legge: “I leader hanno affermato il loro sostegno a […] tutti gli sforzi degli Emirati Arabi Uniti per raggiungere una soluzione pacifica alla questione delle tre isole; Grande Tunb, Piccola Tunb e Abu Musa, attraverso negoziati bilaterali in conformità con le regole del diritto internazionale”.

Secondo l’agenzia semi-ufficiale iraniana ISNA, la feluca cinese ha rassicurato un funzionario del ministero degli Esteri a Teheran che il suo Paese “rispetta l’integrità territoriale dell’Iran”. Hu Chunhua, il vice primo ministro cinese, visiterà l’Iran e gli Emirati nei prossimi giorni, con queste frizioni da gestire. Iran e Cina hanno in essere un accordo che aveva suscita molto rumore ma (per ora) mosso poca sostanza: il piano venticinquennale di partenariato è un’intesa talmente ampia al punto di essere quasi vaga.

La dichiarazione e ciò che ne è seguito dimostrano la difficoltà di bilanciare i rapporti e l’impopolarità della Cina presso l’opinione pubblica iraniana, spiega a Formiche.net Bill Figueroa, esperto dei rapporti sino-iraniani del Centre for Geopolitics dell’Università di Cambridge. Figueroa fa notare alcuni aspetti: “In primo luogo, la dichiarazione in sé era mite, non un pieno avallo delle affermazioni emiratine e in linea con l’approccio abituale della Cina alle controversie internazionali”. In effetti nel testo si invita a “sforzi pacifici” per risolvere la disputa tra Iran ed Emirati Arabi Uniti.

“Nonostante questa posizione apparentemente cauta, la notizia ha toccato un nervo scoperto in Iran, con alcuni che hanno accusato il governo di essere debole al punto che il suo alleato stava sottilmente sostenendo l’affermazione emiratina, giocando in una narrazione comune sulla mancanza della Cina nell’impegno con l’Iran”. Secondo Figueroa, Pechino non si aspettava questa reazione, “in base alla formulazione del testo e al modo in cui il decimo punto sottolinea l’integrità territoriale dell’Iran. La Cina afferma d’altronde di voler risolvere la questione di Taiwan in modo pacifico attraverso il negoziato e non lo vede come un velato riferimento alla rinuncia alle proprie rivendicazioni, ma piuttosto come una preferenza per raggiungere i propri obiettivi senza l’uso della forza”.

La risposta del governo iraniano può essere vista in parte come una manovra per placare il pubblico domestico. L’impopolarità di “guardare ad est” presso il pubblico iraniano, e persino tra alcuni funzionari che non vedono la Cina come un alleato, viene spesso trascurata.

“La Cina — continua Figueroa — sarà senza dubbio più cauta nell’approvare tali dichiarazioni esplicite in futuro, ma la situazione è un ottimo esempio di quanto possa essere difficile bilanciare i rapporti, di come dichiarazioni apparentemente miti possano avere conseguenze indesiderate e di come l’opinione pubblica iraniana abbia un ruolo”.

Per l’esperto di Cambridge, Pechino ha comunque avviato da un po’ l’allontanamento da Teheran privilegiando le relazioni con il Golfo: “Dal momento che sembra inevitabile che ulteriori sanzioni si dirigano verso l’Iran, la Cina probabilmente non è desiderosa di investire pesantemente in quel Paese. L’invio in Iran del vicepremier Hu al posto di Xi dimostra che l’Iran è su un ordine di grandezza inferiore a quello saudita in termini di priorità”.

Secondo un’analisi di Jacopo Scita per Bourse & Bazaar, il commercio Cina-Iran in ottobre ha toccato il livello più basso da febbraio di quest’anno, superando appena il miliardo di dollari. Mentre “i livelli più bassi delle esportazioni cinesi in Iran potrebbero riflettere un indebolimento della domanda iraniana, in quanto le proteste nazionali hanno colpito il sentimento economico nel mese di ottobre”, spiega Scita, gli esportatori iraniani sperano che un cambiamento della politica cinese sulle restrizioni legate alla pandemia possa portare a una ripresa dell’economia cinese e quindi a una maggiore domanda di beni iraniani.

 



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