L’Italia può avere un unico progetto per il suo futuro: diventare un ponte tra Europa, Asia, Africa e America. In questo si dà anche un senso all’Europa al di là dei conti. Si contribuisce così al senso della Germania unitaria nuovo collante tra est e ovest di un continente che sta per diventare altro da sé dopo la fine della guerra in Ucraina. Senza l’Italia-ponte non solo il Paese ma anche l’Europa sono a rischio. L’analisi di Francesco Sisci
La crisi politica, sociale e culturale italiana sembra senza precedenti dai tempi della sua unità, forse per questo bisogna ripartire dalle basi.
L’Italia per secoli era stata divisa politicamente pur avendo una geografia facilmente identificabile e una lingua comune. Questi due mattoni, che avevano convissuto bellamente separati da sempre, sono stati legati dalla calce romantica di una idea di nazione nell’800, come accadeva alla Germania e ad altri Paesi prima in Europa poi nel mondo.
La spinta del romanticismo nazionalista ha prodotto il mondo di oggi. Ciò era mosso dall’unica nazione multi etnica, gli Usa, che ha favorito l’indipendentismo nazionalista, spesso artificiale, del secolo scorso anche contro le istanze di potenze coloniali come Francia o Gran Bretagna sue alleate.
Tale indipendentismo nazionalista e romantico del resto era figlio del processo storico della rivoluzione francese, tanto legata a quella americana.
Oggi tanti elementi di quella rivoluzione sono saltati. Il culto messianico della ragione salvifica e atea non c’è più. È minata dalla scoperta di un inconscio incontrollabile a sua volta vittima di circostanze occasionali, un rimbrotto di un genitore nell’infanzia o troppa o troppa poca vitamina C nella dieta.
È svanito l’ateismo, poi migrato nel marxismo, che tanto ha contribuito al senso di noi stessi negli ultimi due secoli. Sono in crisi le nazioni prese in un vortice autodistruttivo. Hanno scoperto che al loro interno ci sono altre “nazioni” che pretendono pari dignità e all’esterno ugualmente ci sono nazioni che sfidano gli altrui “diritti” nazionali.
Così le nazioni si sgretolano e hanno bisogno di governi forti che li tengano artificialmente in vita. Il governo di Putin in Russia sembra venire da qui. Tanto più forte deve essere il nuovo governo quanto più debole è il progetto “Russia”. Oppure le nazioni vecchie quando non sono scomparse o traballanti, hanno trovato più o meno inconsciamente un nuovo “progetto” di sé attorno a cui aggregarsi.
Per esempio la Spagna è il ponte tra America Latina e Europa; la Francia è la continuità di ideali forti e laici della rivoluzione; il regno Unito è il grande pensatoio della geopolitica mondiale e il faro di valori del liberalismo del 18° secolo; la Germania è (era?) il collante e il motore economico dell’Europa, eccetera.
Qual è il progetto Italia?
Dal 1861 a 1922 c’era una sovrabbondanza di senso. Oltre alla idea di “nazione italiana” il progetto era rinverdire i fasti del Rinascimento in maniera unitaria, da cui “Risorgimento”, anche semanticamente figlio di “Rinascimento”. C’era stata poi la coda fascista di rinverdire i fasti imperiali di Roma, finiti nel fango della hybris. Dal 1943 alla caduta dell’Urss, l’Italia era la marca dell’Occidente contro islam e comunismo.
Ora che progetto c’è?
Questo sembra il problema più grave e vero del Paese.
Nell’ultimo decennio partiti sono cresciuti e spariti nei sondaggi con la velocità di una canzonetta per promesse varie: rottamare il passato (Pd di Renzi), vaffa a tutti (M5s di Grillo), vaffa agli immigrati (Lega di Salvini), ultimo giro ma responsabile (FdI di Meloni). Si tratta sempre di coniugazioni di idee negative e particularissime, che non hanno a che fare con economia.
Certo è utile che l’economia cresca ma tutti sembrano vivere in un mondo dove l’economia non importa, quindi le parentesi tecnocratiche dei Marii (Monti o Draghi) non contano. Forse l’Italia aveva rinunciato al suo “senso” in nome di un “senso” maggiore nell’Unione europea (Ue).
Ma qui il senso Ue è stato solo quello di un grande contabile che dà e chiede soldi, indifferente al senso delle nazioni al suo interno.
Certo il Paese deve tornare ad avere un senso di realtà, rifare i conti con l’economia. Ma la distrazione di massa sulla realtà dell’economia è anche sintomo della assenza di destino del Paese. La rottamazione, i vari “vaffa” sono tutte risposte in negativo a quello che non funziona del senso del Paese. Il richiamo europeo dei conti non risponde a questo urlo di mancanza di coscienza.
La proposta Calderoli di un’autonomia spinta delle regioni allora è una risposta pratica a tale mancanza di senso. Se l’Italia unitaria ha perso di significato bisogna tornare a quella dei territori, alla realtà rinascimentale, di una Italia geografica, ma non spazio politico unitario.
Esso ha un senso storico, ma la cura pare peggiore del male. Innescherebbe un processo che porterebbe alla fine dello Stato unitario del 1861 e farebbe partire un virus di frammentazione continentale tale da spaccare anche la Germania unitaria del dopo Bismark.
Il progetto per l’Italia può essere unico: diventare un ponte tra Europa, Asia, Africa e America. In questo si dà anche un senso all’Europa al di là dei conti. Si contribuisce così al senso della Germania unitaria nuovo collante tra est e ovest di un continente che sta per diventare altro da sé dopo la fine della guerra in Ucraina. Cioè senza l’Italia-ponte non solo il Paese ma anche l’Europa sono a rischio.
Dovrebbe essere un progetto nazionale, al di là dei partiti, ma chi può farsene carico? Serve una o più forze politiche che lo assumano, ma ci sono? Questa forse la più grande domanda del Paese ora.