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“La Via della Seta finisce al Pireo”. La protesta dei cantieri navali

Due associazioni puntano il dito contro Cosco e l’Autorità portuale parlando di “colonialismo cinese” e chiedendo l’intervento dello Stato. Nel frattempo il colosso di Pechino in Italia cambia tattica ma non strategia

“Come se fossero venuti nel nostro Paese non come investitori, ma come colonialisti”. L’ultimo affondo dei cantieri navali del Pireo contro Cosco è durissimo. L’Associazione greca dei costruttori e riparatori navali (Senavi) e l’Associazione dei cantieri navali di Perama hanno accusato il colosso statale cinese e l’Autorità portuale del Pireo (di cui il primo detiene il 67% delle quote) di “totale intransigenza cinese e tipico comportamento coloniale cinese”.

Avrebbero ridotto e cancellato contratti di riparazione, favorito l’insediamento di attività estranee alla riparazione navale in luoghi in cui le riparazioni sono tradizionalmente effettuate e violato il contratto e le leggi greche e comunitarie attraverso “l’imposizione arbitraria e l’eccessivo aumento di tariffe a scapito delle aziende locali”. Ciò, si legge, “testimonia quotidianamente un comportamento estremista colonialista con totale disprezzo per le imprese del territorio”. “Cosco sta portando sistematicamente la nostra cantieristica navale alla distruzione e le comunità locali alla disoccupazione, alla fame e alla povertà”, dicono ancora le associazioni chiedendo “l’immediato intervento dello Stato per fermare il comportamento illegale di Cosco e la sua azione distruttiva per le imprese greche e le comunità locali”. “Il nostro tempo e la nostra pazienza sono finiti. Imprese e lavoratori agiranno gridando: ‘La Via della Seta finisce al Pireo! I cinesi devono tornare a casa! Non siete i benvenuti al Pireo!!!’”, conclude la nota.

Le proteste in Grecia – non le prime – arrivano in un momento delicato per l’Europa, dopo l’affare che ha riguardato il porto di Amburgo. La Via della Seta non si è interrotta ma ha soltanto cambiato obiettivi e soprattutto modalità di esecuzione: meno clamore, più risultati.

L’operazione di acquisto di una quota di minoranza del terminal container del porto di Amburgo di qualche settimana fa ha imposto il più rigido silenzio sugli obiettivi che adesso Pechino vuole portare a compimento anche in altri Paesi. Tra questi c’è ovviamente l’Italia. Il Secolo XIX/TheMediTelegraph ha raccontato che la Cina punta ad acquisire peso – e quote di società – nel settore della logistica italiana. “Sarebbero quattro le trattative ben avviate che presto dovrebbero andare in porto, per acquisire quote in altrettanti hub logistici del Nord”, si legge. “Il focus sull’area settentrionale dell’Italia è dettato dalle esigenze di Cosco, il braccio terminalistico e armatoriale di Pechino. I traffici marittimi più importanti e i flussi commerciali verso le industrie del nostro Pese e per il ricco mercato del Nord Europa, passano dalle banchine del Tirreno settentrionale e dall’Alto Adriatico”. Regista delle diverse operazioni è l’uomo a cui da tempo Cosco si affida in Italia: l’imprenditore genovese Augusto Cosulich. Proprio il ruolo dell’operatore italiano, scrive il giornale, suggerisce “che la strategia di Pechino è cambiata: gli interventi sono meno diretti, arrivano cioè con l’intermediazione di un big locale. È la strada per realizzare gli investimenti previsti, garantendo nel contempo al fronte politico che gli asset logistici rimangono sotto la supervisione e la gestione di un imprenditore italiano”.

L’attenzione sui porti italiani, però, è forte anche da parte degli Stati Uniti, preoccupati per la Via della Seta. Basti pensare a quanto dichiarato nelle scorse settimane da Robert Needham, console generale degli Stati Uniti a Milano: il porto di Trieste e “l’ampia comunità scientifica” locale “offriranno grandi opportunità di investimenti”. Il capoluogo e l’intera Regione, il Friuli Venezia Giulia governata dal leghista Massimiliano Fedriga, sono “pronte a decollare”, ha aggiunto in visita al capoluogo giuliano per una conferenza organizzata al MIB Trieste Business school dalla American Chamber of Commerce in Italy (AmCham) guidata da Simone Crolla. Lo stesso diplomatico, un anno e mezzo fa, aveva rilasciato un’intervista al quotidiano ligure Il Secolo XIX spiegando che “come alleati nella Nato, con truppe presenti nelle basi italiane e con sistemi di sicurezza ed armamento condividisi, speriamo che l’Italia valuterà con attenzione i potenziali rischi per l’economia e la sicurezza nella ricerca di partner per progetti di sviluppo dei suoi porti”.


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