“Dobbiamo passare da una visione egemonica della cultura imposta dalla sinistra fin dal secolo scorso a una visione dove le culture politiche devono essere libere di manifestarsi. L’Occidente? Attraversato non da visioni culturali ma da imposizioni ideologiche. La Rai? Strumento fondamentale per aiutare l’Italia a raccontarsi, dentro e fuori”. Conversazione con l’ex consigliere della Tv di Stato
Non è stata solo una cavalcata politica, ma l’avvio di un progetto culturale che è stato alla base dei risultati elettorali. Lo dice a Formiche.net, a proposito del decennale di FdI, Giampaolo Rossi, già consigliere di amministrazione della Rai e da sempre l’uomo più vicino a Giorgia Meloni nella televisione pubblica. In questa analisi Rossi, che alcune voci indicano in un ruolo apicale nella Tv di Stato di domani, mette l’accento sul come costruire, da destra, un nuovo immaginario italiano, passando per il ruolo stesso della televisione pubblica, nella consapevolezza che in questo momento l’Occidente è attraversato non da visioni culturali ma da imposizioni ideologiche: ovvero il pensiero unico che non è una visione culturale con cui confrontarsi.
Nei primi dieci anni, FdI ha compiuto un significativo passo politico: ora è possibile programmare anche un passo culturale?
È stato già fatto. Fratelli d’Italia nasce dieci anni fa già con un progetto di tipo culturale, ovvero ridare vita e forma a una visione liberal-conservatrice che si era andata un po’ perdendo. Eravamo nel pieno del Governo Monti, cioè della grande svolta tecnocratica del Paese quando l’intera opinione pubblica, a fronte della crisi del bipolarismo e della stagione politica nata con la discesa in campo di Berlusconi, aveva portato a sostituire la politica con i tecnici. Era il periodo dei tecnici al Governo, delle ingerenze dell’Europa e anche di una parte delle cancellerie straniere negli affari interni dell’Italia: quindi la presa di consapevolezza, da parte di una area politica, del rischio di perdita di sovranità del nostro Paese proprio perché la politica stava facendo un passo indietro.
FdI nacque con quali obiettitvi?
Due fondamentali: primo, ridare il ruolo alla politica nella gestione della cosa pubblica e ridare peso a un principio di sovranità democratica che negli anni successivi poi è stato difficile affermare; secondo, immaginare che solamente una visione liberal-conservatrice, quindi di una destra storica italiana, potesse essere in grado di farsi carico di questa rinascita della sovranità politica in Italia che le tecnocrazie stavano abbattendo. Non è un caso che FdI nasca proprio nel momento in cui è invece maggiore la forza di distruzione della politica e in cui l’antipolitica stava prendendo forma: sarebbe poi esplosa con il successo del Movimento Cinque Stelle.
Quale è stato il percorso di Fratelli d’Italia che lo porta oggi ad essere primo partito del Paese?
Non solo primo partito in Italia, ma aggiungo partito ispiratore di tutti i movimenti conservatori dell’Occidente libero: questo è un dato molto importante che fa dell’Italia il punto di riferimento dei movimenti conservatori che vanno dall’Europa a Israele e persino un punto di riferimento per i conservatori americani. Questo risultato enorme è figlio di una visione culturale, cioè dell’idea che è possibile riconsegnare alla politica, anche nell’epoca della crisi delle democrazie occidentali, un ruolo centrale di legittimazione popolare.
Il passaggio successivo?
È ovviamente quello di suggerire lo sviluppo di una visione liberale della nostra società, cioè il concetto della cultura. Noi dobbiamo passare da una visione egemonica della cultura imposta dalla sinistra fin dal secolo scorso a una visione dove le culture politiche devono essere libere di manifestarsi. La democrazia è un grande gioco di confronto di pluralismo, di libertà e quindi liberare la cultura è il primo elemento con cui oggi il nuovo governo deve affrontare anche la sfida del nuovo immaginario da costruire nel nostro Paese.
Quali sono gli errori da evitare in questa fase costruens?
Il delirio d’onnipotenza. Innanzitutto perché, quando si va al governo del Paese, non si deve mai perdere di vista il fatto che la politica è al servizio di una nazione, quindi il principio secondo cui il potere serve ad aiutare una democrazia e non a occuparla. La maggioranza che governa una nazione ha il dovere di disegnare la propria visione del mondo, nel pieno rispetto del ruolo dell’opposizione, ma senza mire egemoniche. Perché in una società libera tutti hanno diritto di espressione. Certo è che bisogna, come dire, costruire le condizioni per cui oggi la politica e le visioni culturali possano essere realmente libere.
Come si mescola un nuovo filone culturale a principi e idee, senza chiudersi nel proprio recinto?
Dobbiamo partire dal presupposto che in questo momento l’Occidente è attraversato non da visioni culturali ma da imposizioni ideologiche: ovvero il pensiero unico che non è una visione culturale con cui confrontarsi. Spesso il pensiero unico è l’imposizione ideologica che un’élite sta facendo per imporre modelli che sono in parte culturali, in parte sociali, in parte politici: imporli alla maggioranza attraverso una deformazione dell’idea, spesso di cultura e spesso anche di Occidente. Il problema fondamentale non è l’egemonia ma è il confronto all’interno di identità che siano forti e affermate. Quando parliamo di destra, parliamo di destra conservatrice-liberale ma anche di una destra riformista molto importante nelle sue funzioni: questa grande destra ha comunque una sua identità e una sua visione del mondo incentrata sul principio della libertà, del libero mercato nella libera impresa, dei diritti individuali nel mantenimento delle libertà individuali e delle identità nazionali come motore di qualsiasi progetto anche di unificazione dell’Europa.
Quale Europa dunque?
L’Europa non può prescindere dal principio delle identità nazionali: la sinistra in questo momento non ha una visione culturale, ma ha maturato in tutti questi anni una sorta di impunità di gestione del potere senza legittimazione popolare. Non ha mai avuto il bisogno di avere una visione culturale che legittimasse il proprio stare al governo perché andava al governo senza alcuna legittimazione popolare. Era il potere per il potere. Quindi il problema fondamentale è che oggi noi abbiamo, da un lato, una sinistra che sta provando a ridisegnare la propria visione e che certamente non vincerà la sfida di una sinistra moderna. Dall’altro abbiamo, invece, una destra fortemente radicata nel sentimento popolare, che ha un grande consenso ma che non è ancora in grado di definire con precisione i luoghi del potere simbolico. Per cui vedo una cultura e un’identità forte a destra e a volte una non cultura e un’identità molto debole a sinistra, che spesso e volentieri in questi anni ha confuso il percorso e la visione del mondo con la gestione del potere, che sono due cose completamente diverse.
In questo percorso che ruolo propositivo può svolgere la Tv di Stato?
Una nuova tv di Stato ha il compito fondamentale di recuperare la funzione del servizio pubblico. Noi in questi anni abbiamo assistito a un servizio pubblico che si è trasformato in una tv pubblica cioè la Rai ha inseguito interamente la televisione commerciale sul suo campo, immaginando che fosse solamente quello il terreno di confronto e perdendo sempre di più la funzione di servizio pubblico. Invece la funzione della tv pubblica è fondamentale perché è duplice: innanzitutto la garanzia del pluralismo e della possibilità che, attraverso i media, vengano rappresentate la pluralità delle narrazioni del nostro Paese e non solamente quelle di un’élite interclassista e autoreferenziale che occupa i luoghi di gestione della televisione pubblica; in secondo luogo la televisione pubblica è oggi l’asset più importante di tutto l’indotto della nostra industria culturale. Occorre valorizzare l’intero mercato, dall’industria culturale italiana al mondo dell’audiovisivo, passando per le istituzioni culturali e trasformare il tutto in potenziale capacità di narrazione della nostra nazione. La Rai diventa così lo strumento fondamentale per aiutare l’Italia a raccontarsi, dentro e fuori così come accade anche negli altri Paesi con BBC o France Television. Credo che la Rai possa avere gli strumenti per tornare a fare questo.
@FDepalo