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Perché la lingua italiana va protetta. L’allarme di Malgieri

La nostra identità si sta disfacendo, inutile negarlo, anche perché parliamo male, ci esprimiamo in maniera approssimativa, diamo poco peso alla diffusione all’estero della nostra lingua e della nostra cultura. Sarà un compito ben arduo maneggiare questa materia da parte dei governanti se vorranno mettere le cose a posto e scongiurare la balbuzie culturale che sta divorando una grande tradizione

Si riparla dell’inserimento in Costituzione della lingua italiana. Il che vuol dire accentuarne la promozione e la diffusione come tratto distintivo di una cultura tra le più ragguardevoli del mondo. La proposta che è stata rilanciata, dopo anni relegata nel dimenticatoio, da giornali e gruppi politici, è il sintomo evidente di un’esigenza che non può ancora essere tenuta fuori dalla discussione politica e culturale: riconoscere la nostra lingua come parte integrante e fondamentale dell’identità italiana. La cui affermazione, in un contesto che tende all’omogeneizzazione dei modelli culturali e sociali, è oggi più che mai essenziale, come attestano le ambiziose riforme e i grandi progetti in questo settore perseguiti non solo dalle nazioni che vantano un’antica tradizione di valorizzazione linguistica, come la Francia e la Gran Bretagna, ma anche da Paesi, come la Spagna, giunti solo negli ultimi anni a sviluppare una rete istituzionale di promozione culturale, che però hanno acquisito una chiara consapevolezza dell’importanza strategica di questo settore.

La gestione del processo di globalizzazione, pur nelle sue contraddizioni, rende strettamente interconnessi gli aspetti politici, economici, sociali e culturali, in modo tale che se da un lato sono indispensabili una specializzazione delle competenze tecniche e manageriali degli operatori culturali e una loro sostanziale autonomia, dall’altro lato occorre una “cabina di regia” che coordini i diversi aspetti della nostra politica estera.

Gli elementi che fino ad oggi hanno frenato il pieno dispiegamento delle potenzialità della rete di diffusione culturale italiana , che pure vanta molti meriti e crediti, sono l’insufficienza delle risorse umane, finanziarie e infrastrutturali, impiegate nel sistema degli istituti italiani di cultura all’estero, specie se paragonate con quelle investite da altri governi europei; il mancato coordinamento tra l’amministrazione centrale, gli istituti, gli enti locali, come le regioni e i comuni, e le istituzioni culturali pubbliche e private; il progressivo abbandono della promozione linguistica in favore di iniziative genericamente culturali, spesso non rispondenti a criteri di qualità.

La normativa vigente che si occupa degli Istituti italiani di cultura e degli interventi per la promozione della cultura italiana all’estero, a sua volta integrata dal regolamento recante norme sull’organizzazione, il funzionamento e la gestione finanziaria ed economico-patrimoniale degli Istituti stessi, pur avendo avuto il merito indubbio di fare ordine in una serie di provvedimenti succedutisi nel corso del tempo, ha bisogno, dopo circa trentadue anni dall’ emanazione delle disposizioni citate, di una sostanziale revisione per correggerne le carenze e per adeguare ai tempi lo strumento normativo, tenendo particolarmente conto della sempre maggiore integrazione europea anche nella prospettiva di una riforma dell’Unione che non ne metta in discussione la tenuta organica e, magari, se possibile, la prospettiva confederale.

La regolamentazione legislativa della materia dovrebbe accentuare l’importanza e la priorità della diffusione della lingua italiana come momento indispensabile e propedeutico per avvicinarsi alla nostra cultura. Occorre, perciò , invertire la tendenza registratasi nel corso degli ultimi decenni verso l’abbandono della promozione linguistica.
Si è infatti riscontrato che, dove la gestione dei corsi di lingua italiana è stata delegata a istituzioni private locali, si è dapprima verificato un decadimento del livello dell’insegnamento della nostra lingua e poi, di conseguenza, un allontanamento dei potenziali studenti stranieri dalle nostre istituzioni culturali.

Occorre dunque rilanciare l’insegnamento della lingua presso gli istituti e, al tempo stesso, rafforzare i legami tra gli istituti e quelle istituzioni, come la Società Dante Alighieri all’estero e le università per stranieri in Italia, che svolgono un ruolo importante in questo settore.

Inoltre sarebbe indispensabile superare le attuali frammentazioni degli interventi linguistico-culturali in favore degli italiani residenti all’estero e integrarli, nei Paesi membri dell’Unione europea, con le iniziative comunitarie in favore della diffusione linguistica.

La mancata istituzione di nuovi istituti e, in alcuni casi, addirittura la deprecabile riduzione del loro numero, hanno evidenziato la necessità di creare la figura di un addetto culturale di carriera presso le ambasciate e i consolati, in quelle sedi dove non vi è un istituto. Tali addetti, infatti, sono costretti a coordinarsi, per aree geografiche, con gli istituti di coordinamento non sempre soddisfacenti.

La rete degli addetti scientifici, poi, che si integra con quella linguistica e culturale, dovrebbe essere sostenuta dagli istituti stessi i quali, in mancanza di un addetto scientifico dovrebbero essere chiamati a effettuare anche un’azione di promozione scientifica e tecnologica, circostanza piuttosto rara.

Nel contesto dell’auspicato rilancio della valorizzazione linguistica e scientifica dovrebbe rientrare la revisione della composizione della Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana più vastamente intesa all’estero destinata ad assumere un ruolo centrale e propulsivo nell’attività di promozione. Ad essa spetterebbero il ruolo di raccordo con le altre istanze istituzionali nazionali, pubbliche e private, e il ruolo di “cabina di regia” della strategia generale di promozione culturale.

Comunque se, come si dice, la volontà manifestata da varie parti politiche e culturali vuole concretizzarsi in un progetto di rinnovamento della difesa, della diffusione, della valorizzazione della lingua e della cultura italiana, non basta “inventare” una disposizione da inserire nella Carta costituzionale. C’è bisogno che l’italiano viva nella sua purezza più che minacciata da anglicismi che ne fanno sostanzialmente una lingua “meticcia” unitamente all’adozione di un linguaggio soprattutto giovanile metaforico desunto dal dispiegamento di espressioni volgari, talune completamente inventate, altre desunte dai dialetti, molte mutuate dal linguaggio “internettiano”.

È ovviamente negli istituti formativi, attraverso i giornali e la letteratura di evasione che l’imbarbarimento della nostra lingua si produce fino a nullificare gli sforzi di coloro che cercano, come l’Accademia della Crusca e la già citata Società Dante Alighieri, di salvaguardarla. Per non parlare poi del linguaggio mutuato dalla tecnologia ed applicato alla conversazione ed alla scrittura correnti: non c’è niente di peggio se non ci si vuol far capire che sposare, al di fuori degli ambiti propri, figure linguistiche che nulla hanno a che vedere con la necessità di adottare un linguaggio corretto e comprensibile.

La nostra identità si sta disfacendo, inutile negarlo, anche perché parliamo male, ci esprimiamo in maniera approssimativa, diamo poco peso alla diffusione all’estero della nostra lingua e dunque della nostra cultura. Sarà un compito ben arduo maneggiare questa materia da parte dei governanti se vorranno mettere le cose a posto e scongiurare la balbuzie culturale che sta divorando una grande tradizione.

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