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La sanità italiana tra nodi irrisolti e impegni futuri

Le legge di Bilancio è ormai definitivamente approvata. Eppure molti osservatori continuano a sottolineare la scarsa spinta propulsiva alla salute dell’ex Finanziaria, oltre al fatto di non aver risolto il rebus del payback e alla presenza di un sistema sanitario troppo frammentato. Gli impegni dell’esecutivo, però, non mancano. Un punto della situazione

La manovra di Giorgia Meloni (qui l’articolo che racconta la lunga conferenza stampa di fine anno) è ormai legge. Eppure, restano dei punti controversi, almeno per alcuni osservatori. Il terreno è quello della sanità, tra i più sensibili e strategici per ogni economia avanzata che si rispetti.

Nel corso del suo intervento al Senato, nell’ambito della discussione, il senatore ed ex premier Mario Monti ha sollevato un problema, che lega a doppio filo scelte fiscali con tutela del sistema sanitario nazionale. “Male l’appiattimento del sistema fiscale. Stiamo attenti, a lungo andare in un sistema come il nostro, appesantito da una forte evasione, l’appiattimento potrebbe rappresentare problemi sia a livello di equità che riguardo le scelte di un adeguamento della distribuzione del reddito”, ha spiegato Monti. “Siamo pronti, come negli Stati Uniti, a eliminare il sistema sanitario nazionale? Questa potrebbe essere una conseguenza del gioco che si introduce in questa legge di Bilancio. Io non credo che l’Italia sia pronta a questo”.

Lo stesso Monti, in un editoriale sul Corriere della Sera, aveva poi rilanciato l’opportunità di ratificare il trattato a monte del Mes anche e non solo per valutare il ricorso ai fondi per sostenere la sanità italiana, in un momento in cui la pandemia sembra battere un colpo di coda. “Consentire che un trattato, firmato da tutti i governi, sia ratificato, non comporta il minimo obbligo di avvalersi degli strumenti che esso prevede, se un Paese non lo vuole. Difficile vedere una singola ragione per rifiutare la ratifica”.

Tra le altre voci, non meno autorevoli di quella di Monti, anche Beatrice Lorenzin, oggi senatrice dem e già ministro della Salute nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. La quale, in un’intervista a 9 colonne di due giorni fa, ha puntato il dito contro una “manovra che è deludente, anche perché sul tema della sanità si consuma un ulteriore taglio per questo Paese che già esce ferito dal Covid ma che rischia con questa legge di bilancio di veder diventare queste ferite permanenti. La sanità ne esce malissimo perché noi avevamo bisogno di garantire il 7% del Pil nella spesa del fondo sanitario come già avevamo detto lo scorso anno; purtroppo questo non avviene: c’è sì un aumento di circa due miliardi dovuto al caro bollette e sappiamo che durerà fino ai primi mesi di questo anno, febbraio-marzo”

In precedenza, l’ex ministro aveva sottolineato come oggi “c’è molto bisogno di attenzione all’organizzazione, alla programmazione sanitaria sui territori, all’utilizzo di nuove tecnologie. Insomma è importante continuare a investire in una sanità più moderna che sappia metterci al riparo dai virus vecchi e nuovi e allo stesso tempo di curare una popolazione fortunatamente sempre più anziana ma che ha sempre più bisogno di salute”.

Ma le cose stanno davvero cosi?  La posizione della maggioranza è ovviamente di tenore opposto. La stessa premier Meloni, nel corso della conferenza di fine anno alla Camera, ha ricordato come il “governo ha aumentato la dotazione di 2 miliardi di euro per cercare di dare risposte al mondo della sanità ed è stato detto che era insufficiente rispetto ai parametri. Ma bisogna fare attenzione perché i parametri degli anni precedenti erano di una realtà estremamente emergenziale. Non so quanto si possa ritenere che quello fatto durante il Covid sia il parametro anche per il futuro”.

Va detto poi come, facendo due conti, il Fondo sanitario nazionale crescerà di ulteriori 2,150 miliardi nel 2023 che si aggiungono ai 2 in più già stanziati dalla manovra del precedente governo, facendo così salire il Fondo a 128,211 miliardi, pari a 4,150 miliardi in più rispetto al 2022. Una buona parte di questo ulteriore incremento, per la precisione 1,4 miliardi, verrà però destinato a far fronte all’aumento del caro energia e al riparto di queste risorse potranno partecipare anche le Regioni e Province autonome. Senza considerare poi la pronta risposata dell’esecutivo alla nuova emergenza Covid, visto che l’Italia è tra i primi Paesi dell’Unione ad aver imposto i tamponi per chi proviene dalla Cina.

Ora, restano sul campo gli impegni del governo stesso per il 2023, sul fronte della salute. Messo da parte, almeno per il momento, il congelamento del payback per le imprese fornitrici di dispositivi medici, l’esecutivo Meloni si è però impegnato a risolvere alcuni dossier nel corso dell’anno venturo. Tra questi, come poc’anzi citato, la complessa e dannosa questione del payback, che rischia di impattare notevolmente su tante imprese farmaceutiche (qui l’intervista alla deputata di FdI, Ylenia Lucaselli). E poi c’è sempre la questione di una sanità troppo frammentata, forse troppo regionalizzata e che avrebbe bisogno di un maggiore coordinamento centrale.

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