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Lavoro, cuneo e pensioni. Cosa dirà la Cisl al governo secondo Sbarra

Il segretario della Cisl: “Va azzerata del tutto la tassazione degli accordi di produttività, con la rimozione del vincolo di incrementalità e l’inclusione dei settori pubblici”. E le pensioni? “Bisogna restituire alle persone la libertà di andare in pensione anche a partire da 62 anni, introdurre pensioni di garanzia per ragazze e ragazzi incastrati in percorsi precari, dare un forte sostegno alla previdenza complementare”

Reddito di cittadinanza, disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, investimenti sulla formazione. Alla vigilia dell’incontro tra le parti sociali e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra traccia una panoramica e una valutazione sulla manovra del governo.

Segretario, Meloni sostiene che con il reddito di cittadinanza non si cresca. In che modo va riformato questo strumento?

In un Paese che ha 5 milioni di poveri sarebbe un grave errore ridurre strumenti di sostegno all’indigenza. Bisogna mantenere e rilanciare le risorse contro le marginalità, e contemporaneamente fare un grande passo avanti sulle politiche attive, le competenze, la formazione, l’accompagnamento e l’orientamento delle persone nelle transizioni lavorative. Va resa possibile, entro una certa soglia, l’integrazione tra la prestazione assistenziale e salario. Ma è soprattutto sul versante dell’apprendimento che dobbiamo darci da fare. Nel nostro Paese c’è un problema enorme di disallineamento tra domanda e offerta di lavoro: siamo maglia nera in Europa. Vanno costruite reti istituzionali e sussidiarie per avvicinare sui territori competenze e imprese, facendo in più grande investimento di sempre sulla formazione, che deve diventare un diritto-dovere universale e perpetuo.

Nella manovra un passo avanti sull’abbattimento del cuneo fiscale è stato fatto. È la strada giusta? Come implementarla?

Domani incontreremo il premier Meloni. Le diremo, tra l’altro, che abbiamo apprezzato la conferma della riduzione del cuneo fiscale operata dal governo Draghi e l’ulteriore taglio di 1 punto sotto i 20mila euro. Ma bisogna fare di più portando l’asticella dei 3 punti di taglio fino ai 35mila euro, collegata ad una forte e decisa riduzione delle tasse sui redditi da lavoro e pensione. Va azzerata del tutto la tassazione degli accordi di produttività, con la rimozione del vincolo di incrementalità e l’inclusione dei settori pubblici. Noi diciamo che si potrebbe prendere in considerazione un nuovo scostamento di bilancio, pescando anche dai fondi inutilizzati nazionali ed europei, incrementare e rendere esigibile il prelievo sulla speculazione e sugli extraprofitti, che va esteso anche ai giganti della logistica e  dell’economia digitale.

Quali devono essere le misure per aumentare i posti di lavoro, soprattutto laddove nel Paese ce n’è più bisogno? 

I posti di lavoro non si creano per decreto e non arrivano con la bacchetta magica. L’occupazione buona, ben contrattualizzata, formata e retribuita, si crea con gli investimenti pubblici e privati. Significa realizzare infrastrutture, avviare politiche industriali ed energetiche, potenziare la fiscalità di sviluppo, specialmente per le aree deboli. Insomma, dare spazio a una politica economica e di sviluppo francamente espansiva. Da questo punto di vista la manovra del governo Meloni è insufficiente. Il peso dei tagli determinati dall’inflazione si fa sentire su welfare, scuola, politiche sociali e servizi. E poi c’è la sanità, dove 1,4 miliardi su 2 vengono assorbiti dai rincari e in cui davvero va riconsiderato l’utilizzo dei 37 miliardi di Mes sanitario. Bisogna accelerare l’attuazione del Pnrr rafforzando la governance partecipata e vigilare sulla qualità della spesa, garantendo la destinazione reale del 40% dei fondi al sud. Quello che serve è una grande alleanza tra parti sociali che faccia leva sulla crescita occupazionale e sociale. Lo diciamo al governo e a tutte le associazione di impresa. È questa la strada per la qualità e la stabilità del lavoro che dobbiamo realizzare soprattutto nel mezzogiorno per giovani e donne. Rilanciamo i capitali produttivi, i servizi e i diritti di cittadinanza, diamo modo ai lavoratori di partecipare alle decisioni e agli utili d’impresa. Il sentiero dello sviluppo si costruisce e si percorre insieme.

I provvedimenti relativi alle pensioni stanno creando qualche attrito. Qual è la vostra posizione?

In primo luogo bisogna ristabilire la piena indicizzazione delle pensioni. Questo è un punto dolente della manovra. Il ridimensionamento della perequazione porta alle casse dello Stato sei miliardi in due anni: un’operazione di cassa inaccettabile, considerando anche che quota 103 costa 750 milioni. Occorre togliere i vincoli su Opzione Donna e poi va avviato subito il tavolo politico per una riforma complessiva e stabile della previdenza, basata su sostenibilità sociale, flessibilità non penalizzante, tanta inclusività in più per giovani e donne, stabilità delle regole. Bisogna restituire alle persone la libertà di andare in pensione anche a partire da 62 anni, introdurre pensioni di garanzia per ragazze e ragazzi incastrati in percorsi precari, dare un forte sostegno alla previdenza complementare. E poi allargare la platea delle occupazioni gravose, rendendo strutturale l’Ape sociale. Perché non tutti i lavori sono uguali.

Che posizione avete su contante e Pos?

Non è giusto alzare le soglie sui contanti e strizzare l’occhio ai più furbi. Il pagamento elettronico è uno strumento efficace che ormai vige in tutti i paesi europei e non si capisce francamente questa caccia alle streghe. Bisogna invece stringere le maglie per recuperare parte di quei 100 miliardi di evasione che sfuggono al fisco ogni anno. In una fase di alta inflazione bisogna proteggere chi paga fino all’ultimo euro. Questo è il nostro problema di fondo. Nella manovra c’è una evidente disparità di trattamenti tra lavoratori dipendenti ed autonomi, segnalata anche dalla Banca d’Italia.

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