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La manovra? Meglio di quella Draghi. Sapelli spiega perché

L’economista: “Il fattore determinante e che caratterizza più di ogni altro aspetto questa finanziaria è l’attenzione al sistema economico nazionale e la volontà di salvaguardare le piccole e medie imprese”. Sull’equilibrio: “Meloni e il suo governo vogliono evitare nella maniera più assoluta di cadere sotto gli strali dell’Unione Europea”.

“Questa manovra è di gran lunga migliore rispetto all’impostazione che ne aveva dato Mario Draghi”. Se c’è una peculiarità che contraddistingue Giulio Sapelli, è la grande capacità analitica. L’economista, già docente all’università Statale di Milano, presidente della fondazione Germozzi, dà una lettura estremamente positiva della finanziaria che, proprio ieri a tarda ora ha ottenuto la fiducia alla Camera con 221 voti favorevoli.

Sapelli, cosa rende questa finanziaria una manovra addirittura migliore rispetto a quella di Draghi?

Ci sono, chiaramente, punti di continuità fra i due esecutivi. Ma il fattore determinante e che caratterizza più di ogni altro aspetto questa finanziaria è l’attenzione al sistema economico nazionale e la volontà di salvaguardare le piccole e medie imprese. Dunque non c’è solo un’attenzione alle famiglie, ma c’è uno stimolo reale al consumo. Oltre al fatto, non trascurabile, di rimettere in moto alcuni beni strumentali di fondo.

Insomma il valore aggiunto pare essere l’intreccio tra pubblico e privato, che in qualche modo rispecchia un orientamento metodologico che ha il governo. 

Esattamente. E proprio per sottolineare questo incrocio e questa coesistenza proficua tra pubblico e privato, devo dire che le parole del ministro Adolfo Urso sono molto rassicuranti ed efficaci. Impresa pubblica, non di Stato.

C’è anche un tema legato alla “sostenibilità” di questa manovra. La finanza pubblica è in equilibrio?

Certo che è in equilibrio. D’altra parte, giustamente, Meloni e il suo governo vogliono evitare nella maniera più assoluta di cadere sotto gli strali dell’Unione Europea. Ma, torno a dire, rispetto a Draghi che a ben guardare ha distribuito solo sussidi, in questa manovra c’è uno sforzo positivo per stimolare la crescita del Paese.

A proposito di sussidi, a seguito della revisione al reddito di cittadinanza le polemiche si sono sprecate. Forse, in una fase come questa nella quale le fragilità aumentano, bisognava andare più cauti. Non le pare?

Personalmente sarei stato molto più drastico di Meloni sul reddito di cittadinanza. L’avrei abolito e, parallelamente, avrei varato due leggi: una per contrastare la povertà, finanziando in maniera robusta ad esempio le associazioni no-profit del terzo settore che assolvono a un compito fondamentale. La seconda legge, invece, l’avrei fatta per sostenere l’occupazione. A partire, però, da una profonda revisione delle agenzie del lavoro che si sono rivelate un fallimento su tutti i fronti.

Sul piano del lavoro, un primo passo avanti è stato fatto verso l’abbattimento del cuneo fiscale. 

È un passo avanti significativo, soprattutto nel metodo con cui è stato portato avanti questo provvedimento. Sui lavoratori inciderà per i due terzi, mentre per le aziende la restante parte. In questo modo vengono preservati i contributi pensionistici. E si evita che i lavoratori, andando in pensione, si trasformino in nuovi poveri. Però, questo aspetto, sembra non essere compreso dai sindacati.

“L’Italia non accede al Mes, posso firmarlo col sangue”, ha detto Giorgia Meloni. Una posizione vantaggiosa per il Paese?

Sono perfettamente in linea con l’intendimento dichiarato dalla premier. Piuttosto che accedere al meccanismo infernale del Mes, che peraltro rischia di farci fare la fine della Cina, è meglio rispolverare una proposta che anche io (assieme ad altri economisti del calibro di Tremonti) avevo lanciato qualche tempo fa. Chiediamo agli italiani di comprare dei titoli di Stato per favorire la crescita del Paese. Un prestito nazionale, sulla scorta di quello lanciato da Togliatti e De Gasperi nel dopoguerra, al momento della ricostruzione. Anche questo, in una certa misura, è un momento di ricostruzione. Dunque il Mes va ratificato, ma è giusto non usufruirne, per evitare il pericolo della gabbia di ferro della Troika.

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