L’ex ministro democristiano: “La Dc non è finita per Tangentopoli, ma con il Mattarellum. Castagnetti? Si illude di poter essere il partito di centro che dà la spalla alla sinistra. Ma non c’è l’uno e non c’è l’altro. Meloni? Ha assimilato l’esigenza di compiere un salto di ridefinizione della sua posizione politica”
È Meloni che sta facendo il partito di centro. Castagnetti e la sinistra democristiana hanno rinunciato al voto e alla rappresentanza politica dei ceti medi. Lo dice a Formiche.net l’ex ministro democristiano Calogero Mannino che riflette a 360 gradi non solo sulla crisi in atto tra Pd e popolari, ma soprattutto sulle prospettive che Giorgia Meloni può avere dinanzi a sé in questa fase di afonia del polo di centro.
L’identità non è escludente, quella ebraica è parte della mia, ha detto ieri Giorgia Meloni dinanzi alla comunità ebraica: il suo discorso sull’identità riecheggia i fondamenti della filosofia politica insegnata (e praticata) da Aldo Moro. Come commenta questa frase del presidente del Consiglio?
È un criterio che Meloni ha interesse ad affermare, perché non intende negare la sua storia personale che è però un pezzo di una storia più ampia: la intende superare e la intende collocare nel contesto soprattutto delle responsabilità che adesso ha assunto. Meloni ritengo che abbia assimilato l’esigenza di compiere un salto di ridefinizione della sua posizione politica. La responsabilità che gli italiani le hanno affidato non è più la responsabilità di rappresentanza di un segmento della storia del Paese, ma di rappresentanza della volontà di questo Paese di affrontare il presente e il futuro strettamente legati. È questo un criterio con cui spiegare sé stessa senza sollevare contraddizioni e soprattutto senza sopportare contestazioni.
Il campo di gioco del partito conservatore europeo le dà ampio margine di manovra rispetto al passato?
Si trova di fronte a un bivio: rimanere una minoranza, tra l’altro rappresentativa, di Paesi che non sono centrali nel sistema di governo europeo, oppure avvicinarsi sempre più ad un’alleanza di sistema con i popolari. Tornando in Italia, Meloni non lo dice esplicitamente, ma è come se dicesse: voglio rifare quello che fu la Democrazia cristiana in un altro contesto.
Come?
Creare un partito, il partito che sta al centro, fondamentalmente popolare, un partito che ripete l’anima cristiana, naturaliter cristiana ed è larga parte dell’Italia. Ricordo che all’alba della Democrazia cristiana c’è stato un rapporto d’amore con Israele. Poi Israele, per ragioni politiche, ha preso alcune distanze dalla Democrazia cristiana. Da ultimo ci sono stati anche molti equivoci, cose che vanno chiarite non dai democristiani ma da Israele, e con molta franchezza.
“Se torniamo a 20 anni fa è meglio chiudere bottega”: Castagnetti e gli ex Ppi minacciano di lasciare il Pd. Per quale ragione?
Il presidente Castagnetti è come Meloni: difende le sue origini. Non intende negare che è stato uno degli autori della scissione della Democrazia cristiana per preparare quello che sarebbe stato un giorno il Pd. Alcuni democristiani prepararono questo scenario con la riforma elettorale, utilizzarono il candore e l’ingenuità di Mario Segni, gli lasciarono fare il referendum sulla preferenza unica. per arrivare poi al cambiamento del sistema elettorale. Diceva il senatore Leopoldo Elia, che è stato il Gran maestro di quest’area della sinistra democristiana, che bisognava introdurre elementi di maggioritario e quindi si è arrivati al Mattarellum. Il giorno in cui si è fatto il Mattarellum è finita la Democrazia cristiana. Non è finita per Tangentopoli.
E sul piano politico?
Sul piano politico è finita il giorno in cui è stato introdotto un sistema elettorale che soppianta quel sistema elettorale proporzionale che aveva portato i popolari in Parlamento. Con la legge elettorale proporzionale, i popolari e i cattolici sono entrati in Parlamento come partito politico. Abrogata la proporzionale non c’è stato più spazio per un partito popolare perché c’è stata una polarizzazione. Adesso Castagnetti non vuole negare di essere stato uno scismatico e si ritrova però con un Pd che non risponde più alle sue speranze: vuole fare di nuovo un partito popolare che lascia alla sinistra lo spazio per la ricomposizione di un partito postcomunista di sinistra. Siamo di nuovo punto e a capo.
Quale la criticità maggiore?
L’errore del Pd è nelle sue origini, quando il partito postcomunista ha assecondato alcuni democristiani scismatici con l’impegno di avere la maggioranza per cinquant’anni: era quello che Violante ha sostenuto anche in incontri con me. Insieme hanno sottovalutato, gli uni e gli altri, che la borghesia italiana non sarebbe andata su quel partito. Il Pd non è riuscito mai ad essere partito di maggioranza, tranne una volta sola con Renzi, ma non era più il Pd bensì era il partito di Renzi. La soglia del 30% non l’hanno mai passata: quando è caduta la Democrazia cristiana nel 1992 si fermò al 29,6. Questo è un equivoco.
Perché?
Perché il giorno dopo la caduta del muro di Berlino, il partito post comunista avrebbe dovuto fare un esame, chiamiamolo così, di coscienza storica. I comunisti erano stati gli scismatici del Partito socialista. Sul piano storico ha vinto Turati, non Gramsci. Al di là dell’impedimento formale a costituire il Partito comunista, i socialisti divennero socialdemocratici. E l’esame di coscienza storica porta a ritenere che tra Lenin e Trotsky e Bernstein hanno vinto i socialdemocratici tedeschi. L’idea socialdemocratica è ancora un’idea che sta in piedi oggi in un mondo che ha conosciuto la globalizzazione e l’uscita dalla stessa globalizzazione. Questa forma nuova di globalizzazione alla quale stiamo andando incontro, io la chiamo neo globalizzazione.
Ovvero?
L’idea socialdemocratica sta in piedi ed è alla base di un partito riformista che privilegia il criterio della giustizia sociale perché questa è la socialdemocrazia: chi ha cercato una cosa diversa si è posto sulla strada che ha aperto Veltroni per fare in Italia il Partito democratico. Ma senza rendersi conto che anche negli Stati Uniti, per esempio, il confronto tra il Partito democratico e il Partito repubblicano oggi avviene su una base totalmente inedita.
Quale?
Il Partito Repubblicano in America è diventato il partito dei lavoratori e il partito dei disoccupati, cioè degli esclusi: gli stessi che dovrebbero essere rappresentati da un partito di sinistra. Il Pd non riesce a guadagnare gli elettori di sinistra, perché se ne sono andati a destra, votano Salvini e votano la Meloni e la Stalingrado lombarda ha votato a destra. Inoltre la classe operaia non sente più la difficoltà del sindacato. Landini è dentro un’altra condizione di rappresentanza. Sarebbe stato un grande dirigente sindacale, è lì che tiene in piedi ciò non sta più in piedi. Per cui questi democristiani alla Castagnetti s’illudono di poter essere il partito di centro che dà la spalla alla sinistra. Ma non c’è l’uno e non c’è l’altro.
Giorgia Meloni ha quindi dinanzi a sé una prateria?
È Meloni che sta facendo il partito di centro. Castagnetti e la sinistra democristiana hanno rinunciato al voto e alla rappresentanza politica dei ceti medi. E siccome ho evocato anche qualche conversazione del ’92 con Violante quando mi espose l’idea che, spaccando la Democrazia cristiana, la sinistra democristiana e il Partito comunista sarebbero stati al potere per cinquant’anni, vorrei citare un concetto di De Gasperi: la funzione della Democrazia cristiana è quella di tenere, dentro il binario della democrazia e della libertà, il ceto medio italiano che si orienterebbe facilmente verso l’uomo qualunque e il movimento sociale, cioè verso il fascismo o verso il populismo. Invito a leggere al meglio questi ultimi trent’anni di storia: caduta la Democrazia cristiana, c’è stata la forma populistica di Berlusconi. Per cui, chi raggiunge la maggioranza dei voti inevitabilmente deve diventare partito di centro.
Anche oggi?
Guardiamo il comportamento del governo in questa legge finanziaria: sembra un governo doroteo (la corrente moderata della Dc) ed è solo così che si può tenere unito il Paese. Quando lo faceva la Dc veniva contestata perché la legge finanziaria era definita di elemosine.
@FDepalo