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Meloni e le sfide per un (vero) partito conservatore. Parla Tarchi

“Finché sussisteranno realtà autonome come Forza Italia e i gruppetti di Toti, Lupi e simili, non sarà facile che questa prospettiva si concretizzi”. Nel Pd? “Se dovesse prevalere la linea Schlein, Calenda e Renzi potrebbero festeggiare”. Conversazione con Marco Tarchi, politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri

L’ex presidente della Camera, Luciano Violante, è convinto che Giorgia Meloni stia lavorando alla costruzione di un nuovo Pci italiano. No, un attimo. Nulla a che vedere, chiaramente, con il vecchio gran partito comunista. Ma un partito conservatore. Violante dice a Libero di guardare con interesse Meloni “nella paziente costruzione di un vero partito conservatore, senza fascismi”. Ci sono, oggi, gli estremi affinché avvenga la gemmazione di una formazione politica con queste sembianze. Lo abbiamo chiesto a Marco Tarchi, politologo e docente all’Università degli Studi di Firenze Cesare Alfieri.

Luciano Violante sostiene che Giorgia Meloni sia al lavoro per costruire un partito conservatore italiano, oltre fascismi e localismi. È, in effetti, in atto questo processo?

Sul piano delle dichiarazioni, sì, ma di mosse pratiche finora se ne sono viste poche. E finché sussisteranno come realtà autonome Forza Italia e i gruppetti di Toti, Lupi e simili non sarà facile che questa prospettiva si concretizzi. A meno di non voler ridurre il conservatorismo a una mera copia dell’ala moderata della Democrazia cristiana. Che era ben altra cosa rispetto a quanto Meloni ha sempre dichiarato di voler creare.

Cosa manca a FdI per diventare uno schieramento politico che si avvicini al modello conservatore per eccellenza, quello dei Tory britannico?

Il contesto politico di quel Paese, e comunque i Conservatori inglesi, al di là dell’etichetta, sono un eterogeneo aggregato di tendenze liberali, moderate, blandamente nazionaliste e persino moderatamente progressiste, che – malgrado la formale alleanza – con la cultura politica di Fratelli d’Italia ha poco a che vedere.

Pensa che ci possa essere spazio, anche su scala internazionale per una nuova forma di partito conservatore con il quale intessere nuove alleanze?

Questa struttura di coordinamento c’è già – il Partito dei Conservatori e Riformisti – e Meloni la presiede. Ma, per l’eterogeneità a cui accennavo ha scarse capacità operative. Ampliarne i confini mi sembra impresa ardua: Tra Vox e i Tories, i Democratici di Svezia e la Csu, il Pis polacco e i Républicains francesi le distanze rimangono notevoli.

In questa operazione Salvini e Berlusconi potrebbero rispolverare l’idea del patto federativo in chiave anti-Meloni?

È possibile, ma a meno di assorbire completamente Forza Italia, per la Lega sarebbe l’ennesima mossa autolesionistica, che le precluderebbe ogni futuro possibile accesso a quel serbatoio di umori populisti che in passato l’aveva proiettata oltre il 34% dei voti.

Una delle sfide maggiori per questo governo è la riforma istituzionale in chiave presidenziale o semi-presidenziale. Ce la farà?

Dipende dal possibile appoggio – previa contropartite – di Calenda e Renzi. Che al momento non mi sembrano propensi a fornirlo. È un’incognita.

Grande è la confusione in casa Pd per la Successione di Enrico Letta alla segretaria. Che scenari prevede? Ci sarà l’alleanza con i Grillini o è un amore sfiorito?

Di sicuro, un ritorno al connubio con il Pd interromperebbe la tendenza al recupero dei consensi che il M5S sta mostrando: gran parte dell’elettorato dei Cinque Stelle non ha granché a che fare con la sinistra e nel movimento cerca le residue tracce del grillismo delle origini (dal reddito di cittadinanza ai sentimenti anti-establishment). Quanto al Pd, lo scontro Bonaccini-Schlein mostrerà ancor più chiaramente l’estrema difficoltà di tenere insieme anime che esprimono divergenze ideologiche profonde. E il rischio-scissione non è affatto da escludere. Se poi dovesse prevalere la linea Schlein, Calenda e Renzi potrebbero festeggiare.

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