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Natale, del tenero tra contrasti. La riflessione di D’Ambrosio

I contrasti non sono un incidente di percorso nel Natale di Gesù. Sembrano essere molto simili ai “chiaroscuro” di Caravaggio: l’utilizzo di un contrasto elevato, con una singola fonte di luce focalizzata, crea un effetto incredibilmente drammatico. Dove dramma e umanità sofferta si fondono nella nobiltà del tratto e nell’incanto che i personaggi suscitano

È stato l’evangelista Luca a tramandarci alcuni immagini tenere nei racconti dell’infanzia di Gesù. Come quella della notte della nascita: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2, 7). Penso a quelle fasce, forse cotone o lino, alle mani della madre ben più preziose del tessuto, alla sua tenerezza: quella di tutte le madri di ogni tempo e di ogni luogo, di tutti coloro che amano, a volte nonostante tutto e soprattutto. Come nelle difficoltà di una mangiatoia e di tutti i luoghi estremi e poveri di questo mondo, poco adatti ad accogliere chi deve partorire.

Eppure questa tenerezza evangelica non indulge mai al sentimentalismo stucchevole perché è incarnata, come del resto il Cristo, il Figlio di Dio fattosi carne per noi. È una tenerezza che emerge, ancora più forte, da alcuni contrasti: le fasce in un contesto poverissimo, le mani che pongono il piccolo in una mangiatoia, il Figlio dell’Altissimo nella precarietà del luogo di nascita, stalla o tenda di fortuna che sia stata, il Padrone di tutto che non trova posto in un alloggio qualsiasi, il Messia visitato da sconosciuti pastori. Forse, come per il Cristo, non è mai esistito un Natale senza contrasti, “piano”, senza problemi, tutti “rose e fiori” e… pace, una delle parole più abusate in questi giorni.

Ma penso anche al fatto che i contrasti non sono un incidente di percorso nel Natale di Gesù. Sembrano essere molto simili ai “chiaroscuro” di Caravaggio: l’utilizzo di un contrasto elevato, con una singola fonte di luce focalizzata, crea un effetto incredibilmente drammatico. Dove dramma e umanità sofferta si fondono nella nobiltà del tratto e nell’incanto che i personaggi suscitano. È proprio così anche per il Natale del Cristo: è un trionfo di giubilo, è compimento delle promesse, è apertura del Cielo da cui piove il Giusto, è “la Parola di Dio che si fa carne” (Gv 1) ma nel contrasto della stalla e delle povertà materiali e, soprattutto, nel rifiuto di chi diceva falsamente di aspettarlo: “Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11).

È così anche questo Natale: il Cristo nasce qui, ora dove contrasti non mancano. Ci sono le ferite della pandemia non ancora completamente rimarginate, l’aggressione dell’Ucraina e le diverse guerre nel mondo, la crisi socioeconomica, i balletti della politica e gli immancabili giochetti con la coperta troppo corta delle risorse; senza dimenticare i contrasti personali, relazionali, familiari e professionali che ognuno di noi si porta dentro.

Forse dovremmo smetterla di inviare messaggi fotocopia, copiati e riciclati sui social e riflettere un attimo sul fatto che il Natale c’è, il Cristo nasce se il contrasto lo si fa proprio e non se si crede di esorcizzarlo con gli auguri inoltrati all’infinito su WhatsApp (a cui è meglio non rispondere se non sono diretti esplicitamente al ricevente e sono solo una noiosa catena). Forse sarebbe bello che ai pochi intimi, tra amici e familiari, scrivessimo una bella lettera. Io lo farei per condividere un contrasto che mi pesa e per chiedere aiuto sul come vedere meglio la luce, sia essa quella del Cristo a Betlemme oppure la forza interiore, che accomuna tutte le donne e gli uomini di ogni sensibilità, cultura e religione.

Forse così potremo vivere un Natale dove i contrasti portano luce, nonostante il dramma che ad essi è legato, assaporando quanto il poeta Seamus Heaney ha scritto:

Nessun’altra cosa può essere così bella.

Qui il cielo e la terra bevono a sazietà

            sebbene sia notte.

[No other thing can be so beautiful.

Here the earth and heaven drink their fill

            although it is the night]

 

Seamus Heaney

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