Il messaggio di Bergoglio ai partecipanti dell’VIII Conferenza “Rome MED Dialogues” fa riferimento all’interconnessione delle problematiche che richiede “che vengano esaminate insieme, in una visione coordinata e la più ampia possibile, come emerso in modo prepotente già nel corso della crisi pandemica, altra evidente conferma che nessuno si salva da solo”. La riflessione di Riccardo Cristiano
Dopo aver parlato, per primo e a lungo, di “guerra mondiale a pezzi”, Francesco da qualche tempo parla di “guerra mondiale”. Il rischio, non esplicitato ma evidente, è quello di una connessione globale dei conflitti. Non a caso nel suo messaggio ai partecipanti all’VIII Conferenza “Rome MED Dialogues”, il papa parla di una connessione delle problematiche, evidente e pericolosissima: “L’interconnessione delle problematiche richiede che vengano esaminate insieme, in una visione coordinata e la più ampia possibile, come emerso in modo prepotente già nel corso della crisi pandemica, altra evidente conferma che nessuno si salva da solo”.
Era il 27 marzo 2020 quando, in una piazza San Pietro deserta, ma piena come quel giorno, Bergoglio avvisò il mondo che davanti alla pandemia nessuno si sarebbe salvato da solo. “Siamo tutti nella stessa barca”, disse il papa, quando delle tante varianti del virus ancora non si poteva avere sentore. Oggi, ricordando quel “nessuno si salva da solo”, Bergoglio parla di “globalizzazione dei problemi”, osservando che quello scenario “si ripropone oggi a proposito del drammatico conflitto bellico in corso all’interno dell’Europa, tra Russia e Ucraina, dal quale, oltre ai danni incalcolabili di ogni guerra in termini di vittime, civili e militari, conseguono la crisi energetica, la crisi finanziaria, la crisi umanitaria per tanta gente innocente costretta a lasciare la propria casa e a perdere i beni più cari e, infine, la crisi alimentare, che colpisce un numero crescente di persone in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più poveri”.
Continuando a parlare del conflitto in Ucraina, il papa ha ribadito che “sta producendo enormi ripercussioni nei Paesi nordafricani, che dipendono per l’80% dal grano proveniente dall’Ucraina o dalla Russia”. “Questa crisi ci esorta a prendere in considerazione la totalità della situazione reale in un’ottica globale, così come globali ne sono gli effetti – aggiunge -. Pertanto, come non è possibile pensare di affrontare la crisi energetica a prescindere da quella politica, non si può al tempo stesso risolvere la crisi alimentare a prescindere dalla persistenza dei conflitti, o la crisi climatica senza prendere in considerazione il problema migratorio, o il soccorso alle economie più fragili o ancora la tutela delle libertà fondamentali. Né si può prendere in considerazione la vastità delle sofferenze umane senza tener conto della crisi sociale, in cui, per un profitto economico o politico, il valore della persona umana viene sminuito e i diritti umani vengono calpestati”.
Volendo assumere davvero una prospettiva globale la centralità del Mediterraneo risulta evidente: “Il Mediterraneo, infatti, ha la grande potenzialità di mettere in contatto tre continenti: un collegamento che storicamente, anche tramite la migrazione, è stato grandemente fecondo. Con esso confinano Africa, Asia ed Europa, ma troppo spesso dimentichiamo che le linee che delimitano sono anche quelle che mettono in contatto, e che l’ambivalenza del termine ‘confine’ può alludere anche a un fine comune: cum-finis. Un aspetto, questo, di cui erano ben consapevoli le civiltà che ci hanno preceduto e delle quali il Mediterraneo è stato la culla. Con rammarico dobbiamo constatare che questo stesso mare, oggi, stenta ad essere vissuto come luogo di incontro, di scambio, di condivisione e di collaborazione. Eppure, nello stesso tempo, è proprio in questo crocevia di umanità che ci attendono tante opportunità. Dobbiamo dunque riprendere la cultura dell’incontro di cui abbiamo tanto beneficiato, e non solo nel passato. Così si potrà ricostruire un senso di fraternità, sviluppando, oltre a rapporti economici più giusti, anche relazioni più umane, comprese quelle con i migranti”.
Sarebbe importante capire il Mediterraneo come il Mare delle interconnessioni, cosa che purtroppo sembra evidente solo alle forze disgregatrici. Così il papa coglie il punto che trasforma la guerra mondiale combattuta a pezzi con la guerra mondiale: l’interconnessione dei problemi, che si centra sul Mare delle Interconnessioni, il Mediterraneo, davanti al quale siamo chiamati a capire “come i temi etico-sociali non possano essere disgiunti dalle molteplici situazioni di crisi geopolitica e anche dalle stesse problematiche ambientali. L’idea di affrontare i singoli temi in modo settoriale, separatamente e a prescindere dagli altri è, in tal senso, un pensiero fuorviante. Esso infatti comporta il rischio di giungere a soluzioni parziali, difettose, che non solo non risolvono i problemi ma li cronicizzano. Penso in particolare all’incapacità di trovare soluzioni comuni alla mobilità umana nella regione, che continua a comportare una perdita di vite umane inammissibile e quasi sempre evitabile, soprattutto nel Mediterraneo. La migrazione è essenziale per il benessere di quest’area e non può essere fermata. Pertanto, è nell’interesse di tutte le parti trovare una soluzione comprensiva dei vari aspetti e delle giuste istanze, che sia vantaggiosa per tutti, che garantisca sia la dignità umana sia la prosperità condivisa”.