L’allora premier greco fece sì marcia indietro ma senza prestare attenzione alle conseguenze che, pesanti, precipitarono la Grecia in un sistema ancora più duro. A Palazzo Chigi non si avvertono simili traiettorie, dal momento che almeno fino ad oggi il nuovo esecutivo non si è fatto trascinare dalla foga delle promesse, anzi si è reso responsabilmente conto che fare più debito in manovra sarebbe corrisposto ad un affossamento definitivo dell’Italia questa volta sì in acque greche
Il livello di spread tornato basso, sceso dopo la presentazione della manovra, accanto al lavoro silenzioso ad esempio dei ministri Fitto e Giorgetti, nonostante il continuo rumore “di fondo”, conferisce ai primi quaranta giorni di governo Meloni un impatto positivo, sia dinanzi agli interlocutori internazionali come agenzie di rating e alleati, che al sistema Ue che consuetamente guarda con preoccupazione all’Italia per via dell’elevato debito pubblico.
Il fenomeno del passaggio epocale dall’opposizione alle stanze di governo, tratteggiato nelle ultime settimane in molteplici modi, è apparso anche sulla stampa francese accostando Giorgia Meloni a Alexis Tsipras: quel poco in comune che i due esponenti hanno è nel percorso elettorale che dal 4% li ha portati entrambi a governare con una limpida vittoria nelle urne.
Ma nulla di più, perché l’allora premier greco fece sì marcia indietro ma senza prestare attenzione alle conseguenze che, pesanti, precipitarono la Grecia in un sistema ancora più duro: ovvero quella decisione dopo il referendum greco fu peggiore di tutte le promesse, perché fece scattare il secondo memorandum, nei fatti più rigido del primo.
A Palazzo Chigi non si avvertono simili traiettorie, dal momento che almeno fino ad oggi il nuovo esecutivo non si è fatto trascinare dalla foga delle promesse, anzi si è reso responsabilmente conto che fare più debito in manovra sarebbe corrisposto ad un affossamento definitivo dell’Italia questa volta sì in acque greche. Tra l’altro proprio questa caratteristica di austerità rispetto a una serie di settori (come la sanità) ha prodotto la reazione di pancia dei sindacati che tuonano contro la “scia” di Draghi presente nelle bozze stese in via XX Settembre.
Che il tentativo di Meloni, da un lato di governare e dall’altro di costruire “un vero partito conservatore senza fascismi né localismi”, sia un elemento di novità lo ha notato anche l’ex presidente della Camera, Luciano Violante, che lo ha messo in evidenza nella consapevolezza che è presente oggettivamente un’evoluzione.
Se ciò si sposerà con una robusta corazza di responsabilità che vada oltre la luna di miele con gli elettori non è dato saperlo, ma al momento c’è sul tavolo un triplo tentativo: dare un indirizzo politico (quindi con scelte nette, opinabili certo, ma politiche); non sfuggire alla gravità del momento, tra crisi energetica, economica e geopolitica (quindi con un riequilibrio euroatlantico dopo le sbavature cinesi del governo giallo-verde); provare a programmare già oggi la manovra del prossimo anno, quando si spera che il Pnrr possa incidere e lasciare dunque spazio per interventi non dettati dall’emergenza.
@FDepalo