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Qatargate, come difendersi dalle truffe (non dalle lobbies). Parla Velardi

“Sui social osservo questa reazione da parte di giovani iscritti: la nuova generazione di lobbisti dice basta e rivendica di non avere nulla a che fare con le vicende di cui si parla in questi giorni. Più si mantengono zone grigie, quindi zone di cui non è chiara la regolamentazione, più sono possibili le truffe”. Conversazione con Claudio Velardi

Le democrazie mature devono difendersi dalle truffe, non dalle lobbies dice a Formiche.net Claudio Velardi a proposito del Qatargate. Anche perché in rete sta montando una sorta di protesta da parte di giovani lobbisti italiani che non vogliono essere equiparati ai casi in questione, che hanno coinvolto appunto nomi italiani.

Il Parlamento europeo ha già delle norme ad hoc: perché allora si mescola lobby e casi come il Qatargate? C’è un problema culturale nel nostro Paese o di mancata fiducia nelle istituzioni/associazioni?

Il problema culturale relativo al termine lobbying e a che cosa si intende per lobbying è antichissimo ed è ancora diffuso nel conformismo dei media che, come dire, invece di indagare su degli avvenimenti preferiscono cavarsela con una formuletta, solo a uso e consumo della peggiore fruizione. Tutti sanno che è sufficiente inserire in un titolo la parola lobbying ed è fatta. Ma da quando è scoppiato il caso qatarino ho avvertito in rete una reazione, sia da parte dei lobbisti del mondo che del lobbismo italiano, mescolata ad una certa consapevolezza del fatto che non bisogna mischiare mele con pere.

Ovvero?

Un conto sono le attività di lobbying, un conto sono “altre” attività. È una cosa nuova in Italia, perché oramai anche da noi esiste una comunità larga di lobbisti, consapevoli della professione, che aumenta ogni anno di più. Per cui sui social osservo questa reazione da parte, in maniera particolare, di giovani iscritti: questa nuova generazione di lobbisti dice basta e rivendica di non avere nulla a che fare con le vicende di cui si parla in questi giorni.

Perché in Italia si fatica a regolamentare la materia? Pigrizia o pregiudizio?

Per una ragione più semplice: più si mantengono zone grigie, quindi zone di cui non è chiara la regolamentazione, più sono possibili le truffe. Quindi da una parte c’è l’esperienza di zone grigie e dall’altra il fatto che il decisore, quando pensa di regolamentare il lobbying, lo fa sempre con un intento punitivo, quasi voglia ondeggiare tra l’esistenza di queste zone grigie che andrebbero regolamentate e una regolamentazione che si pretende che sia rigida, tale da impedire qualunque svolgimento di attività lobbistiche.

Il risultato?

Spesso i risultati sono la propaganda, ma credo che il nodo sia perché il politico voglia o meno questa regolamentazione. Il politico si trincera dietro affermazioni di carattere moralistico ma in realtà vuole mantenere la prerogativa del potere, mentre nelle democrazie avanzate e anche in Europa c’è invece l’idea che la decisione possa essere compartecipata anche dai rappresentanti di interessi.

Le ultime olimpiadi invernali in Cina e i mondiali in Russia ci dicono che i regimi autoritari sono alla fin fine gli unici con capacità di spesa?

Il primo problema è che noi viviamo, molto banalmente, in un mondo globale: significa che la sovranità degli Stati nazionali è sempre di più un flatus vocis, insomma, una cosa falsa, una finzione, mentre in realtà tutte le decisioni che si prendono hanno un carattere globale e, proprio per questo, avrebbero bisogno di istituzioni globali. Nel frattempo, laddove le istituzioni globali non ci sono ancora e non c’è neppure una governance delle relazioni, gli Stati fanno il bello e il cattivo tempo, le democrazie sono imbrigliate dalle loro problematiche democratiche e dalle loro procedure. Per cui ecco che gli Stati autoritari possono investire di più e, a volte, trovano dei mercati di paralobbisti, ovvero persone che non esercitano il mestiere in maniera professionale.

C’è anche un problema per le democrazie cosiddette mature?

Si devono evidentemente proteggere, stabilendo dei paletti nelle relazioni con gli Stati stranieri e soprattutto tra i propri decisori, tra i propri rappresentanti e gli Stati stranieri. Questo è un vuoto di normativa che esiste e che va affrontato, perché torna periodicamente in campo. Se si stabilisce che i rappresentanti politici in Italia non possono fare, come dire, gli interessi di Stati stranieri, questa diventa un’affermazione di principio che però è soggetta a tentativi di bypass. Di contro, se ci si oppone ai mondiali di Calcio in Qatar ma poi da quel Paese si compra il gas, allora si crea un conflitto di principi: o li isoliamo in tutti i campi oppure no. Per cui vedo un problema generale che non ha una sola soluzione.

Una delle più indicate quale potrebbe essere?

Segnalo che nell’ambito delle cose da decidere c’è la famosa storia delle revolving doors. Molti Stati prevedono che dopo tre anni un parlamentare sia libero di occuparsi di altro e allora però bisogna capire se Panzeri l’abbia fatto o meno, visto che dal 2019 non è più parlamentare. Ma al di là di quello, è questo uno dei grandi motivi per cui non si è mai fatta la legge sulla regolamentazione del lobbying in Italia. In particolare nell’ultima legislatura, quando stavamo per arrivare all’obiettivo, c’erano frotte di parlamentari che sapevano perfettamente che non sarebbero stati rieletti e che dal giorno dopo le elezioni, se ci fosse stata una regolamentazione seria, non avrebbero potuto fare più nulla.

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