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Fabbrica di chip in Germania per TSMC. Tutti i dettagli

Il colosso dei chip taiwanese sta valutando di costruire un impianto di produzione nella città di Dresda, nel cuore del settore automobilistico tedesco. Si tratta di un’altra mossa per ampliare il foundry business al di fuori di Taiwan, beneficiando degli incentivi previsti dall Chips Act europeo e dall’omologo americano

Taiwan Semiconductor Manufacturing Co., l’azienda fondata da Morris Chang e da una capitalizzazione borsistica vicina ai 570 miliardi di euro (la prima in Asia), sta considerando di ampliare il suo business in Europa nel segmento foundry. TSMC, il più grande produttore di chip per conto terzi al mondo, è infatti in colloqui avanzati con potenziali partner e clienti europei per valutare un nuovo investimento sul continente.

Si tratta di un passo avanti concreto, dopo che alcuni rumors avevano diffuso scetticismo sul reale interesse del chipmaker taiwanese di investire in Europa, considerando la crisi energetica in atto e le difficoltà macroeconomiche dovute alla guerra in Ucraina che rischiano di creare un solco tra Usa e Ue. Mark Liu, presidente di TSMC, aveva inoltre dichiarato a giugno di quest’anno, durante l’assemblea degli azionisti, una minor propensione rispetto agli investimenti negli Stati Uniti e in Giappone. “In Europa abbiamo relativamente meno clienti, ma stiamo ancora valutando e non abbiamo ancora piani concreti”.

Negli Usa, infatti, spinta dagli incentivi fiscali del CHIPS and Science Act approvato da Joe Biden ad agosto, TSMC ha concordato investimenti da 12 miliardi di dollari per la costruzione di una fonderia da 3 nanometri nel 2024. Nel Paese del Sol Levante, al contrario, l’azienda di Chang ha invece in piano di spesa la realizzazione di una fonderia di semiconduttori più maturi, da 22 e 28 nanometri, in partnership con Sony.

Cosa ha dunque spinto l’azienda taiwanese a rivedere i suoi piani? Molto probabilmente le aspettative sulla domanda, in forte crescita nonostante vi siano ancora alcuni settori – quello automobilistico – che vedranno protrarsi ancora per tutto il 2023 le carenze di microchip come anticipato dai principali CEO di aziende fornitrici, come le europee Infineon, NXP Semiconductors e STMicroelectronics. Con la progressiva penetrazione dei veicoli elettrici (che richiedono fino a 5000 semiconduttori per unità), il segmento chip ai nodi meno maturi è previsto crescere del 14% annuo.

Un’area commerciale con grandi potenzialità su cui TSMC ha messo gli occhi, seppur molto differente dai settori dell’elettronica (smartphone, high performance computing, IoT) su cui l’azienda ha totalizzato entrate per circa 19 miliardi di dollari (una crescita del 36% rispetto al terzo quadrimestre precedente). Di converso, l’automotive ha contato solo per il 5%. Secondo i dati raccolti dal Joint Research Centre, costola scientifica della Commissione europea, TSMC controlla l’85% del mercato globale dei semiconduttori all’avanguardia (tra i 5 e 10 nm), mentre il restante 15% è in mano alla rivale coreana, Samsung.

In secondo luogo, la forte pressione diplomatica dei funzionari europei, convinti che la presentazione dell’European Chips Act potesse catalizzare quegli investimenti privati – “first of a kind facilities” – che siano inquadrabili per l’erogazione degli incentivi. Un totale di 15 miliardi di euro è previsto per progetti pubblici e privati nel settore dei chip entro il 2030, con l’obiettivo di raddoppiare la quota di mercato europea. La Commissione, inoltre, ha voluto mantenere contatti molto stretti con i policymakers di Taiwan: questo martedì una delegazione del Comitato sul commercio internazionale del Parlamento europeo, guidata da Anna-Michelle Asimakopoulou, ha incontrato la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, per portare avanti un nuovo accordo bilaterale sugli investimenti, a lungo stagnante. Un Paese sul quale l’Ue vorrebbe costruire una partnership costruttiva anche nell’ottica di garantire la sicurezza della supply chain dei semiconduttori e la continuità della leadership europea nel settore, potendo contare sul suo asset principale: l’azienda olandese ASML, con cui TSMC ha costruito una alleanza commerciale strategica per l’avanzamento della tecnologia dei chip.

Il viaggio degli executives di TSMC in Germania è previsto all’inizio del 2023, sarà finalizzato a sondare il livello di supporto del governo tedesco e a verificare la stabilità delle forniture per l’impianto a Dresda. I centri di produzione dei chip, infatti, sono nodi di una più ampia rete di imprese fornitrici di più di 2000 materiali, tra cui wafer al silicio, gas e prodotti chimici. Un segmento della catena del valore in cui l’Europa eccelle, con aziende del calibro di BASF, Solvay, Siltronic. Oltre all’equipaggiamento per la litografia – l’incisione dei chip sui wafer – su cui vige un quasi monopolio di ASML.

Secondo quanto riportato dal Financial Times, si tratterà di una fonderia per semiconduttori tra i 22 e 28 nanometri, analoga all’investimento giapponese, pronta a capitalizzare sull’elettrificazione del comparto automotive. Una decisione finale sull’investimento è prevista poco dopo l’incontro, soprattutto una volta stimati i costi: la stessa Intel sta rivedendo le sue stime per l’impianto a Magdeburg, inizialmente fissato a 17 miliardi. “Problemi geopolitici sono diventati importanti, la domanda di semiconduttori è diminuita, mentre inflazione e recessione stanno scuotendo l’economia globale”, ha ammesso un portavoce dell’azienda americana ad un quotidiano tedesco. “Questo significa che non possiamo ancora fornire una data precisa per la costruzione”.

Anche nel caso di TSMC queste incertezze potrebbero pesare. Ad ogni modo, non si tratterà – come prevedibile – di un impianto di chip leading edge, dal momento che il colosso taiwanese è fortemente restio a trasferire la sua tecnologia per non minacciare la sua posizione di mercato e, non da ultimo, la centralità geopolitica di Taiwan. Ma soprattutto, perché al momento il mercato europeo non è pronto ad assorbire – a differenza di quello statunitense – semiconduttori che non rispecchino la realtà industriale del continente. Se dovesse andare importo, si tratterebbe comunque di un grande passo in avanti per la stabilità delle forniture e l’ecosistema europeo dei chip, puntellando su quelli che sono al momento i suoi punti di forza.

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