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Usa-Africa. Il messaggio di Sall al vertice di Biden

Il presidente dell’Unione Africana manda un messaggio a Joe Biden e al resto del mondo: gli africani vogliono essere trattati alla pari, lasciati liberi di compiere scelte per interessi sovrani e secondo le proprie priorità

“Quando parliamo, spesso non veniamo ascoltati, o comunque non con sufficiente interesse”, ha detto il presidente senegalese Macky Sall, che guida in questo momento l’Unione Africana, parlando in un’intervista, a Dakar la scorsa settimana, mentre commentava l’appuntamento che da lì a una settimana lo avrebbe portato a guidare una fitta delegazione di alti rappresentanti di dozzine di Paesi africani, ospitati in questi giorni a Washington per l’US-Africa Summit.

“È questo che vogliamo cambiare. E che nessuno ci dica no, non lavorate con questo o quell’altro, ma lavorate con noi. Vogliamo lavorare e commerciare con tutti”, ha aggiunto Sall mandando un messaggio chiaro in vista dell’incontro organizzato da Joe Biden — che probabilmente ricambierà a stretto giro con un viaggio in Africa nel 2023.

Declan Walsh, capo dei corrispondenti in Africa del New York Times, fotografa il summit americano come “l’ultima iniziativa diplomatica di una grande potenza straniera che cerca di rafforzare i propri legami con l’Africa, un continente il cui peso geopolitico è cresciuto notevolmente nell’ultimo decennio”.

Washington racconta l’evento di tre giorni come un mix di incontri di alto livello, nuove iniziative e accordi commerciali che saranno chiusi simbolicamente con una cena di gala nella Roosevelt Room della Casa Bianca. Ma i leader africani si sono abituati a essere corteggiati da pretendenti stranieri. Washington rischia di essere solo una tappa — per quanto importantissima — di quello che è diventato un circuito globale di vertici sull’Africa tenuti da Cina, Russia, Turchia, Francia, Giappone e Unione Europea.

L’obiettivo profondo che l’amministrazione Biden dovrà raggiungere è superare — non solo nella narrazione, ma anche nella pratica — la visione rivolta all’Africa come un problema da risolvere. Questo perché ormai l’interpretazione globale vede al continente come un luogo di opportunità. Una volta cambiato l’approccio mentale, gli Stati Uniti dovranno anche fare meglio di alcuni dei propri avversari che si muovono nel continente con un approccio ancora predatorio, sebbene supportato da una narrazione win-win.

In questo Washington può trovare sponda nell’Unione europea — ma anche in parte nel Giappone e nel Regno Unito — che ha un modo di lavorare con l’Africa unico, vocato alla cooperazione a un confronto realmente di mutuo interesse. Anche se Bruxelles stenta a implementare a fondo certe visioni, le quali però con lo scombussolamento prodotto dalla pandemia prima, e dalla guerra russa in Ucraina poi, sono diventate di alto valore strategico — tant’è che Paesi come l’Italia hanno più volte sottolineato, anche di recente, come l’Africa debba essere una priorità per Roma e per l’Europa.

I problemi che hanno a lungo ostacolato il progresso dell’Africa rimangono, tra cui la povertà, i conflitti, la minaccia di carestie e la corruzione. Ma il continente ha anche molti nuovi punti di forza che stanno attirando le potenze straniere.

Mentre i tassi di natalità diminuiscono altrove, si prevede che la popolazione africana raddoppierà entro il 2050, quando il continente rappresenterà un quarto della popolazione mondiale — un mercato enorme, una potenza demografica. Le grandi riserve africane di minerali rari saranno inoltre necessarie per alimentare le batterie, che saranno il cuore di molte delle tecnologie del futuro.

Come le parole di Sall dimostrano, i Paesi africani hanno nuove consapevolezze, che guidano un desiderio di sovranità, scelte indipendenti e coltivazione di interessi complessi. Un esempio c’è stato nel caso delle risoluzioni con cui le Nazioni Unite, sotto input occidentale, hanno condannato l’aggressione russa; i Paesi africani hanno votato secondo propri orientamenti e priorità, che spesso non coincidevano con quelli di Washington e Bruxelles. Ma ciò non significa che essi siano più alleati o amici di Mosca (o di Pechino).

I Paesi africani stanno cercando una propria dimensione nel mondo percependo più profondamente le proprie capacità e potenzialità in molti settori (da quelle energetico a quello tecnologico fino alle influenze culturali globali) e su questo si stanno basando le loro relazioni internazionali. Traviate da una serie di divisioni e rivalità che portano anche a sfoghi tragici (come in Etiopia, per fare un esempio) e da grandi sfide (come gli effetti del cambiamento climatico, per continuare con gli esempi).

L’Africa è diventata “una forza geopolitica importante”, ha dichiarato in agosto il Segretario di Stato americano Antony Blinken, ricorda Walsh: “Una forza che ha plasmato il nostro passato, sta plasmando il nostro presente e plasmerà il nostro futuro”. In questo vertice, l’approccio di Biden è più ampio, guidato dal tema della “costruzione di partenariati del XXI secolo”, ha dichiarato la scorsa settimana Judd Devermont, direttore per l’Africa del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il prossimo decennio rimodellerà l’ordine mondiale, ha aggiunto Devermont, e “le voci africane saranno fondamentali in questa conversazione”.

La sfida per Biden e per gli Stati Uniti sta nel non far sembrare questo rinnovato sforzo parte della competizione tra potenze (un problema simile a quello che Washington, impegnato nel contenimento globale della crescita cinese e dell’aggressività russa, riscontra anche in altre regioni del mondo). I Paesi africani chiedono agli Stati Uniti di essere considerati attori internazionali con i quali stabilire relazioni sofisticate come quelle sulle attività spaziali (la space economy africana dovrebbe crescere del 30 per cento entro il 2024, per restare sugli esempi), o come la produzione autoctona dei vaccini, o ancora su tecnologie avanzate (intelligenza artificiale, robotica, eccetera) per gestire il cambiamento climatico, l’agricoltura, la pesca.



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